Missioni Consolata - Marzo 2019

MARZO2019 MC 31 MC R all’opera, nella vita quotidiana della Chiesa. Il cuore del Vangelo, infatti, non è il seguire una morale o il compiere determinate preghiere o ge- sti religiosi, ma la relazione con Gesù. Non sempre i discepoli l’avevano capito o si erano comportati correttamente, ma erano sempre rimasti con lui. E anche alla fine, il Risorto non aveva lasciato profondi messaggi sull’aldilà: era comparso ai suoi salutandoli semplicemente con un «Pace a voi» (Lc 24,36). Come pensare allora di mantenere il rap- porto con lui, ora che sembra non esserci più? Gli Atti degli Apostoli non ci raccontano questi interrogativi, ma sembrano passare direttamente alla risposta, a ciò che porta a compimento quanto, pure, era iniziato in modo decisivo al se- polcro vuoto. I discepoli avevano trovato la pietra rotolata via e il sepolcro vuoto la mattina del primo giorno della settimana di Pasqua . Questa era una festa che raccoglieva in sé tre diverse celebrazioni. In passato significava: • la partenza primaverile dei pastori dagli accam- pamenti invernali, celebrata con il sacrificio di un agnello nato nell’anno, i sandali ai piedi e i fianchi cinti… esprimeva l’azzardo di chi abban- donava la sicurezza per trovare la vita; • il memoriale di un gruppo che era stato fatto fuggire dalla schiavitù, sfidato ad abbandonare le certezze e garanzie che pure una tale vita of- friva per fidarsi di una parola che li chiamava a libertà; • la celebrazione agricola della mietitura dell’orzo, con la distruzione del lievito (la pasta madre) utilizzato fino a quel momento per cominciare con lievito nuovo nella speranza e promessa che anche nel nuovo anno si sarebbe vissuti del frutto della terra. Anche nel terzo aspetto della celebrazione c’era una dimensione di fiducia, perché buttare via la massa di pasta lievitata che durante l’anno era stata utilizzata come madre per fare un nuovo im- pasto dal nuovo raccolto, significava scommettere e fidarsi di riuscire ad averne abbastanza da vivere, tanto più che il raccolto dell’orzo da solo non era sufficiente per passare l’anno. C’era bisogno che anche il grano, maturo all’inizio dell’estate, non tra- disse le attese. In qualche modo, però, il successo della mietitura dell’orzo poteva essere un invito alla fiducia anche per il futuro raccolto, circa cinquanta giorni dopo. Ecco perché anche nell’anno liturgico ebraico la festa dell’inizio estate, al cinquantesimo giorno (in greco, appunto, « Pentecoste ») dopo Pasqua, rap- presentava il perfezionamento di ciò che a Pasqua era stato iniziato in modo decisivo ma ancora in- compiuto. Questo valeva per il raccolto, ma non solo: se l’uscita dall’Egitto, celebrata a Pasqua, era il segno più chiaro della benevolenza divina e della sua intenzione di proteggere la vita del popolo, quella liberazione si compie nel dono della legge sotto il Sinai, a Pentecoste. Il compimento del sepolcro vuoto Anche per i cristiani, oggi, la Pentecoste porta a compimento ciò che si inizia a Pasqua. A Pasqua Gesù risorge, ma è a Pentecoste che con il dono dello Spirito si garantisce la presenza di- vina nella storia e la capacità di capire ciò che è ac- caduto in Gesù. Abbiamo sicuramente presente il racconto della prima effusione spettacolare dello Spirito Santo sulla Chiesa. Probabilmente lo ricordiamo così: gli apostoli erano chiusi nel cenacolo quando si ve- dono scendere addosso lingue di fuoco, si mettono a parlare e tutte le persone presenti a Gerusa- lemme, di tante nazioni diverse, li capiscono. Sembrerebbe un miracolo spettacolare che serve per convincere i presenti dell’autenticità della testimonianza dei dodici e insieme diventa «scor- ciatoia» per cominciare ad annunciare a tutti il Van- gelo, visto che subito dopo Pietro inizierà a raccon- tare di Gesù, spiegando che sono contenti sì ma

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