Missioni Consolata - Gennaio / Febbraio 2019
MC R GENNAIO-FEBBRAIO2019 MC 71 Owens quel giorno vinse il suo secondo titolo olim- pico, ricordiamo che tra tutti gli atleti di colore della squadra americana il migliore fu proprio lui, che il 3 agosto vinse la medaglia d’oro nei cento metri, il 4 agosto nel salto in lungo e il 5 agosto nei 200 metri e infine, il 9 agosto vinse la sua quarta medaglia d’oro nella staffetta 4×100 metri; questa era una gara a cui Owens non era nemmeno iscritto, ma partecipò dopo che la squadra ameri- cana decise di non far partecipare due atleti ebrei a causa delle pressioni dei nazisti. Il trionfo di Jesse Owens fu un vero scacco per Hitler che riponeva ogni speranza nei campioni di casa per una robusta affermazione tedesca nelle discipline sportive di atletica leggera. Si vociferò anche a lungo sulla reazione di Hitler alla mancata vittoria tedesca, gli attribuirono i comportamenti più disparati: come il fatto di essersi rifiutato di stringere la mano a Owens. Jesse, da perfetto galantuomo, smentì le versioni non veritiere, affermando di essere stato salutato, sebbene a distanza, dal Fuhrer. La vitto- ria alle Olimpiadi non procurò inizialmente molti benefici economici a Owens, quando tornò negli Stati Uniti dovette adattarsi a fare parecchi lavori umili per procurarsi da vivere, tra cui l’inserviente a una pompa di benzina. Ignorato e snobbato (non si sa per quale ragione) dal presidente Franklin Delano Roosevelt, e dal suo successore Harry Truman, il primo vero ricono- scimento per i suoi trionfi sportivi arrivò qua- rant’anni dopo, nel 1976 dal presidente Gerald Ford, che gli assegnò la Medaglia per la libertà, il più alto riconoscimento civile degli Stati Uniti. Jesse Owens si spense a 77 anni nella sua casa a Tucson, in Arizona, il 31 marzo 1980. Don Mario Bandera Dove il nome di Jesse Owens divenne leggenda. Il tre agosto del 1936 conquistò la sua prima meda- glia d’oro, quella della corsa dei cento metri. Biso- gna dire che i giudici tedeschi durante le gare lo presero particolarmente di mira, infatti non esita- rono a sollevare la bandierina rossa per delle inezie durante le qualificazioni per il salto in lungo. Dopo due salti nulli incombeva su di lui lo spettro dell’eli- minazione. Jesse era dotato di grande velocità, ma il suo stile rivelava imperfezioni, soprattutto se con- frontato con l’impeccabile hang style (sospensione nel salto) di altri atleti. Per Owens sembrava ormai preannunciarsi una sconfitta inevitabile. Senza contare che su di lui pesava duramente la fa- tica degli sforzi precedenti. Rimaneva l’ultima possi- bilità nel salto in lungo, ma la giuria internazionale, influenzata pesantemente dalle autorità naziste, era pronta a dichiararlo fuori gioco senza troppi complimenti. Jesse perciò si trovava di fronte all’ultimo salto valido per accedere alla finale, quando qual- cuno si avvicinò alle sue spalle. Eri proprio tu Luz, l’atleta tedesco da cui tutti si attendevano una vittoria. Mi avvicinai a lui e gli sussurrai all’orecchio: «Uno come te dovrebbe essere in grado di qualificarsi ad occhi chiusi», poi gli consigliai il punto di stacco ideale per effettuare un salto valido indicandolo con un fazzoletto bianco posato accanto alla pe- dana. Jesse non solo si qualificò per la finale, ma mi superò ampiamente saltando ben 8,06 metri contro i miei 7 metri e 87 centimetri.
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