Missioni Consolata - Gennaio / Febbraio 2019
70 MC GENNAIO-FEBBRAIO2019 4 chiacchiere con... sempre più vasto consenso dal popolo tedesco at- traverso gli avvenimenti sportivi. Possiamo dire quindi che una manifestazione sportiva come le Olimpiadi era usata dal potere nazista come uno strumento di battaglia ideologica? Hitler intendeva servirsi delle Olimpiadi per dimo- strare al mondo intero la supremazia della razza ariana, di conseguenza l’atleta tedesco doveva cor- rispondere all’immagine stereotipata: alto, biondo, prestante, carnagione chiara e occhi azzurri. Quindi tu rientravi pienamente nei canoni estetici voluti dal Fuhrer. Sì. Appartenevo fin dalla nascita alla patria tedesca, a quel tempo avevo ventitré anni ed ero studente di legge all’Università di Lipsia. Dal punto di vista spor- tivo, in precedenti gare avevo già superato per due volte consecutive nel salto in lungo il record olim- pico di 7,73 metri stabilito nel 1928 ad Amsterdam dallo statunitense Edward Hamm. Eri diventato anche il beniamino della nazione tedesca dopo esserti classificato terzo ai cam- pionati europei di atletica leggera, nel 1934. Mi rendevo conto che ero una pedina importante, nella scacchiera preparata da Hitler per affermare il dominio sportivo germanico sul resto del mondo. Agli occhi del Fuhrer le mie possibili affermazioni in campo atletico apparivano quasi scontate e il ditta- tore si preparava a gustarle di fronte agli ospiti pro- venienti da tutto il mondo. Quante nazioni erano presenti a quelle Olimpiadi? Parteciparono ben quarantanove paesi, un numero record rispetto alle edizioni precedenti, che tuttavia non teneva conto della forte discriminazione insita nell’evento berlinese. Gli atleti ebrei tedeschi fu- rono espulsi da tutte le discipline sportive, mentre un destino già più felice toccò agli afroamericani, ai quali fu concesso di gareggiare, anche se in numero ridotto. La squadra olimpica americana presentava diciotto atleti di colore su 312 partecipanti, una per- centuale bassissima. Tra l’altro, quei diciotto subi- vano una pesante discriminazione perfino in patria. Erano pochi, ma abituati alle privazioni, forse per questo motivo ancor più desiderosi di riscattarsi. Tra loro spiccava James Cleveland Owens, da tutti conosciuto come Jesse Owens. Hitler come vedeva questi atleti di colore? La presenza degli afroamericani alle Olimpiadi di Berlino venne giustificata da Hitler con sordido di- sprezzo: diceva che essendo loro dei «primitivi» po- tevano vantare una costituzione robusta, perciò più adatta alla corsa. A rincarare l’acredine fu il quoti- diano della propaganda nazionalsocialista, diretto da Joseph Goebbels, che definiva i neri come citta- dini di seconda categoria degli Stati Uniti. In effetti, a ben guardare, anche nel loro paese non erano trattati molto bene. Basti pensare che in quegli anni gli afroamericani erano costretti a sedere nella parte posteriore dei bus pubblici e dovevano utilizzare gli ascensori di servizio negli alberghi: la loro condanna era di es- sere confinati ai margini della società. Il diritto di vi- vere non era loro precluso, eppure, silenziosa- mente, veniva negata loro quella possibilità che si trova alla base della libertà stessa: vivere come loro desideravano. Nonostante ciò, il desiderio di affermarsi, di emergere nella società civile come nello sport da parte degli afroamericani era molto sentito. Proprio così, e Jesse Owens, figlio di un povero agri- coltore dell’Alabama, che a otto anni lavorava già come inserviente per conquistare un posto un po’ più dignitoso in quel mondo che lo voleva esclu- dere, era deciso a tutto pur di farcela. Quale fu l’occasione che gli permise di «sfondare»? Furono le sue doti e le sue capacità atletiche a con- sentirgli di ottenere una borsa di studio per la Ohio State University, dove incontrò Larry Snyder, uno dei migliori coach in circolazione. Con lui, Jesse cominciò ad affermarsi e a stabilire nuovi record. Qualche tempo prima in Michigan, partecipando ad un evento sportivo, vinse ben quattro gare in diverse discipline in un’ora e un quarto. L’eccezionalità delle sue imprese sportive impressionò la Federazione americana di Atletica Leggera che lo incluse nel gruppo di atleti da portare alle Olimpiadi di Berlino. Pagina precedente : Jesse Owens riceve la medaglia d’oro per il salto in lungo, dietro a lui è Luz Long. | A sinistra : Jesse durante la corsa dei 100 metri. | A destra : Jesse e Luz. #
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