Missioni Consolata - Gennaio / Febbraio 2019

disce molto spesso di incontrarsi a metà strada e così si continua pen- sando di avere la meglio. Nel caso dello Yemen penso che nessuna delle parti arriverà alla vittoria. Credo che sia necessaria una solu- zione che si elabori a livello di Na- zioni Unite, se i grandi poteri vo- gliono. Il problema è che finora è mancata la volontà. Lasciano pro- seguire la guerra. Mancano le informazioni. I belligeranti non vo- gliono sia conosciuto troppo bene ciò che capita nel paese. A questo scopo non è consentita l’entrata dei giornalisti. Anche se sappiamo che oggi circa 5 milioni di bambini sono a rischio di morte per fame. Se capitasse che il porto di Al-Hu- daydah (il principale porto sul Mar Rosso, ndr ) dovesse essere chiuso, questa sarebbe la conseguenza. Poi non possiamo dimenticare le malattie. Le strutture sanitarie sono in parte distrutte. Ci sono ri- fugiati all’interno del paese, men- tre sono relativamente pochi gli yemeniti che riescono a espa- triare. Una “fortuna” per l’Europa che di certo non vuole questa gente». Parliamo di una guerra che ri- guarda milioni di persone. «Certo. Lo Yemen non è un piccolo paese: conta circa gli stessi abi- tanti dell’Arabia Saudita (circa 28 milioni, ndr ) che però è molto più grande come superficie». Monsignore, come mai si parla tantissimo della guerra in Siria e, al contrario, si parla pochis- simo di quella in Yemen? c’è una ragione particolare? «Particolare non lo so. Di sicuro la Siria è culturalmente più vicina a noi. Molti l’hanno conosciuta come turisti. Anch’io, quando ero consigliere generale dei cappuc- cini, ho frequentato molto la Siria. I poteri inoltre vedono la Siria come una zona di conflitto più impor- tante. Anche se, a lunga scadenza, lo Yemen non sarà da meno». Monsignore, torniamo sull’ara- bia Saudita, il paese più potente della regione. ci può dire qual- cosa sulla situazione attuale di quel paese? le aperture demo- cratiche di cui si è parlato sono reali oppure sono soltanto un maquillage pensato dai reali? «Democratiche non è il termine giusto, perché questa è una mo- narchia che prende le decisioni in modo assoluto. Ora stanno avve- nendo dei cambiamenti, ma - que- sto è un mio giudizio - sono per la facciata, anche per dare l’impres- sione, a livello internazionale, di una relativa apertura. Il fatto che le donne possano guidare l’auto è stato considerato in Occidente come un miracolo. E lo è, ma non cambia la vita della società. Ci sono delle donne saudite che lot- tano per una società più aperta che sono messe in prigione. Una cosa che non possiamo dimenti- care è che c’è un matrimonio tra il wahhabismo (che è l’interpreta- zione più severa dell’islam) e la fa- miglia Saud. È quasi impossibile che arrivino a un divorzio altri- menti l’Arabia Saudita, nelle forme attuali, avrà grandi pro- blemi. Per questo non penso che il principe ereditario Mohammad bin Salman, che sembra essere l’uomo forte, possa andare avanti troppo veloce. Vedremo cosa capi- terà. Piccoli cambiamenti ci sono, che riguardano anche i cristiani. Il potere della polizia religiosa è stato limitato. Non sono più fre- quenti le sanzioni che c’erano prima. Piccoli passi che rendono un po’ meno problematica la vita dei cristiani. Sarebbe però sba- gliato che l’Occidente pensasse che i cambiamenti avverranno presto. Come accaduto ai tempi della primavera araba quando si pensò che, nel giro di qualche mese, ci sarebbe stata la democra- zia per tutti. Non è possibile. Diamo il tempo a queste realtà della penisola arabica (come di al- tre parti del mondo musulmano) di sviluppare a modo loro il si- stema politico». 56 MC GENNAIO-FEBBRAIO2019 PEniSola araBica  Sopra : Abdrabbuh Mansur Hadi, presi- dente riconosciuto dello Yemen, parla alla 70ª Assemblea generale delle Nazioni Unite, a New York (29 settembre 2015). Gli Huthi lo hanno condannato a morte in contumacia. # © UN Photo / Cia Pak • 22,2 milioni: il 75% della popolazione yemenita necessita di supporto umanitario; • 17,8 milioni: non sanno da chi po- tranno ricevere il loro prossimo pasto; • 16 milioni: non hanno accesso all’acqua potabile e all’igiene di base; • 2 milioni: di persone sono state costrette a lasciare la loro casa; • 25%: di bambini non vanno a scuola; • 10.000: nuovi casi di sospetto colera sono accertati ogni settimana; migliaia di civili sono morti per cause prevenibili (mal- nutrizione e malattie); • 6.660 / 10.560: civili sono morti negli scontri, oltre 10mila sono stati feriti. Y EMEN : I NUMERI DELLA GUERRA • dati al : 6 dicembre 2018. • fonti : Unhcr, BBC News. • a cura di : Paolo Moiola.

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