Missioni Consolata - Dicembre 2018

MC R amico che viveva già in città gli ha insegnato ad aggiustare le mac- chine e adesso lavora nell’officina. Così noi abbiamo sempre da man- giare. Solo una volta che mio fra- tello si era ammalato la mamma ha dovuto comprargli delle medi- cine e per un po’ di giorni ab- biamo mangiato solo pane e latte perché non c’erano abbastanza soldi. Questa è un’altra cosa che ho notato della città: i grandi par- lano sempre di soldi. Quando era- vamo nella steppa, invece, papà dei soldi non parlava quasi mai e parlava sempre di pecore. Forse i soldi sono le pecore della città. M i chiamo Naisula e oggi si sposa mia so- rella Regina. Sono tornata alla mia manyatta (recinto per gli animali di una famiglia nel quale ci sono una o più capanne secondo il nu- mero delle mogli di un uomo, ndr ) vicino a Maralal per un po’ di giorni. Perderò un po’ di lezioni al- l’università, ma ne vale la pena. Prima di venire al villaggio sono passata a Wamba per far visita a sister Grace, la missionaria pre- side della scuola secondaria che ho frequentato: era commossa quando mi ha salutato. Lei sa bene che sono venuta a festeg- giare qualcosa di più di un matri- monio ed è anche grazie alla sister se le cose sono andate così. Era con lei che a scuola parlammo del cut (più esattamente Mgf , mutilazione genitale femminile, ndr ), il taglio che le ragazze della nostra «tribù» devono farsi fare per poter essere considerate donne e sposarsi. In quei giorni la nostra preside era molto triste: una delle ragazze della scuola era morta da poco in conseguenza di un’infezione causata proprio dalla Mgf praticata durante le vacanze tra un anno scolastico e l’altro. E pensare che era stata lei a volere il taglio, per non essere trattata con disprezzo - da inferiore - dalle sue compagne di scuola già ini- ziate. Noi eravamo spaventate, perché sapevamo che presto la cerimonia poteva toccare anche a noi, o alle nostre sorelle più piccole, come Regina. Allora sister Grace ci parlò della cosa con calma e delica- tezza, ma anche con molta deter- minazione: «Non sono arrabbiata con nessuno - disse -, ma non vo- glio che questo succeda a un’altra di voi». Insieme a lei c’era Catherine, una signora di un villaggio non lontano dal mio, anche lei aveva frequen- tato la stessa scuola anni prima e aveva poi iniziato a lavorare in un centro per la promozione delle donne. La signora ci parlò a lungo; ci disse di non avere paura, che ci avrebbe aiutate e che sarebbe ve- nuta nei nostri villaggi. Era neces- sario venire di persona per par- lare con i nostri genitori, perché aveva visto che non bastava af- frontare la questione solo con noi. Prima che la nostra amica mo- risse, alcune organizzazioni ave- vano iniziato a fare delle cerimo- nie di iniziazione alternative, senza il taglio. Ma le facevano lon- tane dai villaggi e senza la fami- DICEMBRE2018 MC 61 • Donna | Sviluppo | Salute | Educazione | Fgm / Mgf | Anziani | Dono • Da sinistra : bambina della missione di Arvaiheer con la statua di Gesù Bambino, e strage di pecore durante lo dzud del 2010. | Sopra : Kenya, Maralal 1990, donne festanti davanti alla capanna di un neo circonciso. Importante: le foto di queste pagine non si riferiscono ai personaggi (di fanta- sia) qui descritti. # © Gigi Anataloni /1990 glia, senza il coinvolgimento degli anziani, perciò per la gente del vil- laggio non valeva niente. E alla fine le ragazze venivano «ta- gliate» comunque. Noi sapevamo bene il perché. Nei rituali dell’iniziazione il taglio è solo il culmine più evidente di tanti altri gesti che preparano e celebrano la «nascita di una per- sona nuova» nella famiglia, nel vil- laggio, nel clan. E il padre, in tutto questo, ha un ruolo speciale, unico. Ogni padre ci tiene moltis- simo, anche il mio. Le famiglie vo- gliono che sia fatta nella casa dove le ragazze sono cresciute e che la gente del villaggio partecipi alla festa. Anzi, questo è talmente importante che ogni quattordici anni circa, tutte le famiglie di un clan si spostano per mesi in un vil- laggio speciale, detto lorora , pro- prio per celebrare l’iniziazione e l’inizio di una nuova generazione. Catherine venne al villaggio, parlò con la comunità e poi con le sin- gole persone. Parlò anche con i miei tre fratelli e con i loro amici. Spiegò a tutti perché era morta la nostra amica e anche che cosa era successo ad altre ragazze che erano ancora vive ma avevano enormi problemi di salute: erano finite all’ospedale per un’infe- zione, avevano dolori continui e a causa di questo spesso non pote- vano lavorare o studiare. La sua proposta era semplice: la cerimo- nia sarebbe rimasta identica in tutto, tranne che nella parte in cui

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