Missioni Consolata - Dicembre 2018

Ma è con l’epoca safavide (XVI-XVII sec.) che la presenza armena si fa rilevante fin nel cuore dell’I- ran. La deportazione di armeni dal Nord fino alla capitale Isfahan, voluta da Shah Abbas il Grande (1557-1629) all’inizio del XVII secolo, apre una nuova fase nella loro storia in quei territori: mer- canti e artigiani abilissimi, riuscirono a distin- guersi e a eccellere, guadagnando uno status privi- legiato fra le minoranze religiose del paese, ancora oggi immutato. Proprio a quell’epoca risale l’introduzione della stampa in Persia per opera di un vescovo della chiesa armena. Una storia straordinaria che vale la pena raccontare. Armeni nell’Iran del XVII secolo, deportati ma liberi A Isfahan, sontuosa capitale dell’impero safavide, proprio di fronte all’entrata della cattedrale ar- mena di San Salvatore ( foto pag. 40 ), che gli ira- niani chiamano Vank - con una parola armena che significa «monastero» -, si trova la statua di un uomo incappucciato che tiene in mano qualcosa. Il visitatore distratto potrebbe non prestare atten- zione al monumento e, tanto meno, a quel piccolo oggetto fra le dita della figura, indecifrabile in un primo momento. È un carattere mobile, di quelli che si usavano nel XVII secolo per la stampa. Il nome dell’uomo effigiato nel monumento è Kha- chatur Kesaratsi (1590-1646), vescovo della Chiesa apostolica armena di Nuova Giulfa, al tempo sob- borgo di Isfahan, oggi riassorbito dall’espansione della città. Negli anni Trenta del Seicento, Nuova Giulfa era sorta solo da pochi decenni, in seguito alla depor- tazione degli armeni ordinata dal già menzionato sovrano Abbas I: un evento doloroso che aveva co- stretto molti a lasciare per sempre la loro terra, distrutta a causa del perdurante conflitto fra ottomani e safavidi. Molti di loro erano morti durante l’estenuante marcia che dalla valle dell’Arasse e dalla piana del monte Ararat, alle pendici del Caucaso, li aveva condotti fino a Isfa- han. Altri erano morti dopo l’arrivo a causa delle malattie sorte per il viaggio. Quello di Abbas il Grande, a differenza di quelli dei suoi emuli novecenteschi, non era stato un intento di morte. In pochi anni, infatti, grazie al sostegno della corona safavide, gli armeni poterono co- struire le loro chiese e le loro scuole, e creare, a partire da Nuova Giulfa, una rete di commerci as- sai florida, che dall’Atlantico sarebbe giunta fino all’Oceano Indiano, lasciando testimonianze che oggi si rintracciano abbondanti, ad esempio, a Ve- nezia e in altre città italiane. Seta e spezie, pietre preziose e stoffe venivano vendute dagli armeni di Nuova Giulfa in ogni parte del mondo, a vantaggio loro, ma anche della dinastia safavide che in loro riponeva grande fiducia. La libertà vissuta dagli armeni in Persia, e la tolleranza nei loro confronti, erano impensabili in quello stesso periodo, ad esempio, in Europa, continente insanguinato da fe- roci conflitti religiosi. Gli armeni: dalla stampa al cinema In quel contesto, denso di luci e d’ombre, ebbe luogo la parabola umana e spirituale di Khachatur. Il suo tentativo di diffondere la stampa a caratteri mobili, la prodigiosa invenzione di Gutenberg, in Iran, non fu il primo. Prima di lui, nel 1628, i car- melitani Domenico di Cristo e Matteo della Croce avevano portato - da Aleppo a Baghdad, e poi an- cora più a Est, fino a Isfahan, sul dorso di un cam- mello - una macchina da stampa a caratteri mobili, con l’intento di stampare libri in lingua persiana a fini di proselitismo. Ma il loro intento non prese corpo: nessuna traccia storica, infatti, rimane di un loro eventuale lavoro portato a termine. C C Alan Cordova /Flickr MINORANZE IN IRAN

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