Missioni Consolata - Dicembre 2018
E 0 MC MC R un incontro che la rafforza e la semplifica: avere fede è una questione di cuore perché il cuore ha l’intelligenza della volontà e della ragione (cfr. Lc 24,25.32). Si crede perché si vuole intraprendere un cammino di vita che può solo essere un’avven- tura d’amore. Mc 4,41a E li prese un’enorme timore e si dicevano l’un l’altro... È la stessa paura dei marinai di Giona (cfr. Gn 1,16). È lo stesso stupore e timore degli abitanti di Cafàr- nao di fronte alla guarigione dell’indemoniato (cfr. Mc 1,27) o del paralitico (cfr. Mc 2,12). È lo stesso timore e stupore che popola la vita dei discepoli, confermati dopo la risurrezione a superare ogni forma di timore: «Io-Sono. Non abbiate paura!» (Gv 6,20; cfr. Mt 28,5.10). Se fosse vero che crediamo in Dio, nulla e nessuno ci potrebbe smuovere di un solo millimetro dalla trasparenza della testimo- nianza che non può conoscere né paura né corag- gio perché essa esige solo che siamo noi stessi. Sempre. Ovunque. Mc 4,41b «Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?». È la stessa domanda che si pongono i presenti all’e- sorcismo dell’indemoniato: «Chi è mai questo? … Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbedi- scono!» (cfr. Mc 1,27). Per conoscere «chi è» Gesù non basta stare con lui e condividerne la vita (cfr. Gv 1,39), è necessario partecipare alla sua azione li- beratrice. Per stare con Gesù bisogna essere e agire come lui. I preti sono soliti dire di essere «alter Ch- ristus», ma solo in riferimento all’aspetto sacerdo- tale-eucaristico: «Un altro Cristo», perché il prete consacra il pane. Che povera teologia, quella che ri- duce la questione dell’identità a un solo aspetto per mettere in sicurezza il prete dalle commistioni col mondo e con la vita reale degli uomini. Questa teologia è servita per condannare i preti-operai col divieto di fare lavori manuali o di vivere la vita dei propri contemporanei, solo perché «le sue mani sono consacrate» (anni ’50-’60 del sec. XX). Oppure per giustificare la gestione «monarchica» del prete nella pastorale e nell’economia. In questo c’è un abisso tra la «singolarità» di Gesù e la nostra stupi- dità che cerca ogni mezzo per distinguersi dal Gesù della storia a vantaggio di un Gesù addomesticato e, diciamola tutta, all’occorrenza molto comodo perché inoffensivo. Somigliare a Gesù Cristo, o meglio essere «come lui», significa farsi carico della croce della soffe- renza del mondo, diventare cirenei dei poveri della terra e assumere l’annunzio di liberazione del Van- gelo per combattere ogni forma di ingiustizia e di- suguaglianza per impiantare l’inizio del regno di Dio che ha diritto di cominciare sulla terra per esten- dersi fino ai confini dell’eternità. Imitare Cristo si- gnifica decidere di voler morire per la salvezza e la liberazione dell’umanità che oggi è martoriata, ri- fiutata e crocifissa nei migranti, carne di Dio vili- pesa. Bisogna pescare nel pozzo profondo del pro- prio essere e divenire una cosa sola con lui che non perde mai di vista il senso della sua vita e non ha paura di sporcarsi le mani. Conclusione Nell’intervento di Gesù notiamo che egli prima agi- sce per ristabilire l’ordine e la calma e poi parla ai discepoli e li rimprovera. Non basta recriminare - specialmente a caldo - bisogna creare le condizioni per una vita reale. Un secondo elemento è dato dalla personificazione degli elementi della tempe- sta: il vento e il mare ai quali Gesù parla sono de- scritti come se fossero persone. Ciò ci fa supporre fondatamente che il racconto sia da leggersi in modo figurato anche perché Mc usa lo stesso ter- mine per descrivere il silenzio ostile dei farisei (cf AfMC / Gigi Anataloni
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