Missioni Consolata - Dicembre 2018

• Pace | Donne | Muro | Diritti umani • DICEMBRE2018 MC 23 l’esercito. Sognava un mondo come quello che aveva solo sfio- rato quando, da ragazza, aveva la- vorato per una compagnia aerea. Mi racconta che un giorno le dis- sero di avere passato il confine del Belgio e che lei si stupì di non aver visto neppure un check point, militari, armi. Fu in quel- l’occasione che iniziò a immagi- nare un mondo senza reti, senza delimitazioni. Ma la promessa fatta a Daniel fu, suo malgrado, una bugia. La cosa certa è che nessuna madre mette al mondo un figlio per mandarlo in guerra. Questo è il pensiero che sta alla base del movimento Wo- men wage peace . Donne come madri, in senso universale. Unite a dispetto dei confini: che tuo fi- glio sia israeliano, palestinese, ebreo, musulmano, cristiano, la speranza è una sola: che possa vi- vere in pace. Che non debba co- noscere l’orrore della guerra. Per Hamutal fu un brutto mo- mento quello nel quale accompa- gnò Damiel al bus che l’avrebbe portato al centro di addestra- mento. E ancora peggiore il giorno della cerimonia quando dovette sentirlo pronunciare il giuramento: «Giuro di difendere il mio paese anche se dovessi sacri- ficare la mia vita per esso». Ad Hamutal si riempiono gli occhi di lacrime nel raccontarlo: «Stavo li seduta e pensavo solo: questo è mio figlio, il mio unico figlio ma- schio, il mio primogenito, lo amo più di ogni altra cosa al mondo e devo sentirgli dire che morirebbe pur di difendere il proprio paese?». Preghiera per le madri Questo dolore e questa speranza stanno alla base anche della bel- lissima canzone che fa da inno del Movimento, Prayer of the mothers , di Yael Deckelbaum, che recita così: «Tra il cielo e la terra ci sono persone che vogliono vivere in pace, non arrenderti, continua a sognare di pace e prosperità. Ascolta la preghiera delle madri, porta loro la pace, porta loro la pace». Una sorta di «stabat mater» mo- derno. Un grido di speranza che dice la volontà di non vedere più i propri figli ammazzati in una guerra che ormai ha violato ogni luogo, persino il deserto. E pensando al deserto tornano alla mente le parole di Emil Cio- ran, filosofo e saggista rumeno: «Gli asceti cristiani pensavano che solo il deserto sia senza peccato, e lo paragonavano agli angeli. In al- tre parole, non c’è purezza se non là dove non nasce nulla». Israele e Palestina smentiscono il suo pensiero: qui pure il deserto non è esente dal peccato. Un’altra cosa che sconvolge, in- fatti, viaggiando lungo le strade che conducono alla Valle del Gior- dano, a luoghi considerati sacri non solo dai cristiani ma anche da ebrei e musulmani, è la presenza costante di filo spinato, mura, carri armati, aree di tiro, cartelli che segnalano pericolo. L’ultima cosa che mi dice Hamu- tal, prima di salutarmi, è che non si capacita di come il suo popolo che ha tanto sofferto, che è stato martoriato, vessato, privato di una terra, possa ripetere tali atro- cità su un altro popolo. La memoria storica che qui viene continuamente celebrata (basti pensare al monumentale com- plesso museale dello Yad Vashem, costruito per documentare e tra- mandare la storia del popolo ebraico durante la Shoah preser- vando la memoria dei sei milioni di vittime dell’Olocausto), pare cadere nell’oblio non appena si pensa a ciò che accade in Pale- stina e in particolare sulla striscia di Gaza. MC A

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