Missioni Consolata - Novembre 2018
nalizzato da una simile decisione? Non certo le famiglie che deten- gono appena il 5% dei titoli del debito pubblico italiano. In ordine decrescente ci avrebbero rimesso le banche italiane che ne deten- gono il 27%, la Banca centrale eu- ropea (Bce) che ne possiede il 20%, altre istituzioni finanziarie italiane anch’esse al 20%, la Banca d’Italia al 15%, altri investitori stra- nieri al 13%. In altre parole, a su- bire i contraccolpi non sarebbero solo istituzioni private, da cui po- tremmo aspettarci un atteggia- mento ostile, ma anche la Banca centrale europea e la Banca d’Ita- lia dalle quali ci potremmo atten- dere quanto meno un atteggia- mento di non belligeranza dal mo- mento che sono istituzioni private con funzioni pubbliche. Ed è pro- prio la Banca centrale europea, la grande struttura che, alla fine, dobbiamo riformare perché, se avesse un’altra impostazione, po- trebbe liberare tutti i governi dell’eurozona dal fardello dei loro debiti senza troppi scossoni. Chi ragiona diversamente c’è Charles Wyplosz, uno dei più noti economisti europei, ha avanzato una proposta in tal senso con un progetto denominato Padre ( Poli- tically Acceptable Debt Restructu- ring in the Eurozone ). In pratica l’i- stituto di Francoforte divente- rebbe il nuovo titolare dell’intera massa debitoria degli stati dell’Eu- rozona e, mentre potrebbe dotarsi di un piano pluriennale per estin- guere gradatamente il capitale con denaro di nuova emissione, potrebbe pagare gli interessi in scadenza con i proventi del «si- gnoraggio», ossia con i guadagni ottenuti dal servizio di emissione monetaria. Tutto questo per dire che, da un punto di vista tecnico, le soluzioni ci sarebbero. L’osta- colo è tutto politico ed è rappre- sentato dal predominio dell’ideo- logia liberista che vuole gli stati succubi dei mercati. Solo una nuova volontà popolare può aprire la strada a un’altra visione, ma un nuovo popolo si affermerà solo se capirà che i responsabili dei suoi mali non si annidano fra gli ultimi bensì fra i primi. Francesco Gesualdi rifiuti e ci condannano a una vita in corsa perenne per guadagnare sempre di più. Gestire il debito attraverso la cre- scita è come volersi ingraziare la dea Khali con sacrifici umani: il ri- medio peggiore del male. Progressività, patrimoniale, prestito forzoso Vanno cercate altre strade. Una soluzione è quella della redistribu- zione, che vuol dire fare pagare i più forti . Fino ad ora si sono cer- cate le risorse a favore del debito tagliando sanità, scuola, assegni sociali, che è come se una famiglia decidesse di pagare le banche ri- ducendo la razione di latte del neonato invece che togliere la bi- stecca agli adulti. In Italia la ric- chezza c’è, ma - per un tacito ac- cordo fra tutte le forze politiche - i potenti nessuno li tocca. Questa ingiustizia deve finire: se il paese è in difficoltà lo sforzo del risana- mento va richiesto prima di tutto a chi sguazza nell’opulenza. Un obiettivo che si raggiunge non solo riformando il sistema fiscale in senso fortemente progressivo (come avevamo nel 1974), ma an- che imponendo una seria imposta patrimoniale e magari un prestito forzoso sugli alti redditi e patri- moni, ad esempio oltre i 500mila euro. In contemporanea an- drebbe attuata una seria lotta all’evasione e all’elusione fiscale, che ogni anno procurano allo stato una perdita di oltre 100 mi- liardi. E poiché questi provvedi- menti hanno bisogno di tempi lun- ghi, come misura d’urgenza si do- vrebbe pensare di chiedere anche ai creditori di fare la propria parte. I creditori chiedono un tasso di in- teresse perché corrono un rischio, ma se sono sempre protetti, il ri- schio dov’è? Una strategia di uscita dal debito potrebbe comin- ciare proprio dalla decisione di raggiungere il pareggio di bilancio tagliando la spesa per interessi , invece che le spese a vantaggio della collettività. Nel 2017 la quota di interessi che le imposte non sono riuscite a coprire è stata pari a 40 miliardi, lo stato avrebbe potuto congelarli rag- giungendo di fatto il pareggio di bilancio. Ma chi sarebbe stato pe- E la chiamano economia 44 MC NOVEMBRE 2018 tasse, tutti i governi si stanno orga- nizzando per ridurle. Tant’è che an- che in Italia le parole d’ordine sono flessibilità, libertà di licenziamento e riduzione delle tasse come mo- strano il Job’s Act e il fatto che l’im- posta sui redditi d’impresa è pas- sata dal 37% nel 1994, al 24% di oggi. E, detto per inciso, a che serve impegnarsi per fare aumen- tare il Pil, se poi si abbassano le tasse su chi potrebbe pagarle? Ma la fede nella crescita è così radicata che c’è chi chiede di poter fare al- tro debito per permettere allo stato di investire in opere pubbli- che, nella convinzione che la co- struzione di strade, ponti e ferrovie stimolerà l’avvio di molte altre atti- vità economiche. In questa dire- zione sembra voler andare anche l’attuale governo giallo verde che, pur di riuscirci, si dice pronto a su- perare i paletti fissati in sede euro- pea. È cronaca di questi mesi. Altri parametri, altre strade da percorrere È fuor di dubbio che in Italia ci sono molti bisogni insoddisfatti che ne- cessitano di interventi pubblici, ma l’obiettivo non può essere la cre- scita tout court, bensì il migliora- mento della qualità della vita dei cittadini, tenendo ben presente che c’è anche un’altra condizione fondamentale da rispettare: la sal- vaguardia ambientale . In questa ottica non sono le grandi opere a dover prevalere, ma il recupero del patrimonio edilizio esistente e la valorizzazione delle tratte stradali e ferroviarie locali. Una scelta che (forse) non farebbe crescere il Pil come auspicato, ma che migliore- rebbe la vita dei cittadini senza consumare altro suolo e limita al minimo il consumo di nuove ri- sorse. Dobbiamo avere il coraggio di dire che il tempo della crescita è finito, mentre deve iniziare quello della riconversione economica : una totale rivisitazione del «cosa, come e per chi» produrre con l’o- biettivo di espandere le attività ad alto impatto qualitativo sul piano dei diritti, della serenità personale, dell’inclusione occupazionale, della difesa ambientale, mentre vanno chiuse le attività energivore, insalu- bri, dissipative, utili solo a creare bisogni artificiali che ci ingolfano di
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