Missioni Consolata - Novembre 2018
perare noi stessi. «Passare all’altra riva», significa non fermarsi e non smarrirsi su ieri e sul passato su cui non abbiamo alcun potere, ma assumere la dol- cezza intrigante dell’avventura del domani e comin- ciare a esplorare la vita che non c’è ancora, nel se- gno dello Spirito che guarda al Regno di Dio, non al teatro delle debolezze umane. Pregare è «passare oltre» che è il significato di « Pesàch - Pasqua». Pre- gare, cioè andare all’altra riva, è, dunque, un co- mandamento di risurrezione, un’esigenza della vita e una vocazione alla disponibilità dell’accoglienza di ciò che la Provvidenza propone. I genitori che vo- lessero i figli uguali e identici a se stessi, si illudono di potere fermare la vita, perché i figli sono già «ol- tre» i loro sogni e i loro orizzonti: sono «immagine e somiglianza di Dio» che essi possono solo ado- rare, contemplare, amare, sostenere, guidare. Mai fermare. Se è vero che senza passato non possiamo concepire il futuro - in questo senso il futuro è die- tro di noi - quando ci avventuriamo nei sentieri im- prevedibili di Dio, dobbiamo lanciarci non solo verso il futuro, ma addirittura verso l’escatologia, cioè verso il compimento finale che è la pienezza del passato e del presente. Il «regno di Dio», ap- punto. Mc 4,36: «Lasciando la folla, lo portarono via così com’era, nella barca, mentre stavano altre barche con lui». Il successo, la vanità, l’auto-celebrazione sono fuori della logica di Gesù e del missionario-testimone. Queste debolezze sono tipiche del mondo pagano e dell’ambiente clericale-curiale che confonde la «Gloria di Dio» con la propria vanagloria; anzi, fa della «Gloria di Dio» il trono della propria vanità. Gesù non ha niente da portare con sé, se non se stesso: «lo presero con sé così com’era». Egli non è appesantito da bagagli e da bisogni: il suo bisogno è «andare all’altra riva», avanti a sé, nella barca, dove può anche apparire assente, se non si sa co- gliere la sua presenza e le esigenze del suo essere. Per sfuggire all’inganno dell’illusione, è necessario avere qualcuno che «ci prenda con sé e ci porti sulla barca». Da soli possiamo più facilmente sba- gliare, ma se ci lasciamo accompagnare da altri, al- lora è facile salvarsi. Nei momenti di fallimento, bi- sogna anche sapersi lasciare condurre, affidandosi. Noi, ciascuno di noi, siamo i custodi dell’altro che, per natura, ma lo diventa anche per grazia, è «la parte migliore di noi». Custodendo l’altro nella barca, cioè nella Chiesa, negli affetti, nella rela- zione, nell’amore, nel dovere, nell’amicizia, nel ser- vizio, custodiamo il cuore di Dio e diventiamo «pa- dri/madri adottivi» di quanti incontriamo. Gesù è capace di separazione e di lasciarsi trasportare dai discepoli che lo allontanano dalla folla e dalle altre barche. Quando l’autorità che governa la Chiesa sa- prà, sull’esempio di Gesù, affidarsi e fidarsi dei pro- pri figli e discepoli, quel giorno, cominceranno a sorgere la terra e i cieli nuovi previsti dal profeta (cfr. Is 65,17; 66,22). Preghiera attualizzante Anche per me scende la sera e ho davanti due pos- sibilità: dormire o passare all’altra riva. Alla pre- senza dello Spirito, cerco d’individuare le volte e le ragioni in cui mi sono addormentato per essere co- modo, non disturbato e in che circostanze e con quali motivazioni, invece, ho deciso di passare al- l’altra riva. La folla , cioè il bisogno di conferma, di approva- zione o di adulazione o di sentirsi indispensabile, quanto posto occupa nella mia vita, nell’operare il mio lavoro, il ministero? Mi lascio portare come sono dallo Spirito o devo avere tutto sotto con- trollo perché «senza di me nulla è possibile fare?». Il mio potere di accentramento in una scala da 1 a 10, a che misura lo colloco? La vanità è un valore per me? È così importante da adularla anche facendo finta di essere umile? Mi sono mai servito di «Dio» per imporre il mio pen- siero, una mia idea, un mio sopruso? Signore Gesù, custode delle quattro chiavi di Dio (acqua, pane, morte e vita), tu «che scruti le reni e il cuore» (Ger 11,20) e «conosci il mio cuore e i miei pensieri» (Sal 139/138,23), fa che nulla mi distragga da te e dal mio cammino verso di te perché possa imparare a imitarti come solo lo Spirito tuo può indicarmi e non la vanità che spesso si annida nelle forme più subdole di una spiritualità accomodante. L’Eucaristia racchiude tutte e quattro le chiavi perché spezza il pane, disseta con acqua e vino, dona la vita e sconfigge la morte. Quante volte la «uso» con leggerezza, con abitudine, con di- strazione, con fretta perché «urge» altro nella mia vita? Quante volte ho fatto in fretta per «si- stemare le cose con te» e poi potermi dedicare ai miei affari, alle mie capacità, cioè ai miei inte- ressi? Temo la solitudine perché ho paura di me e que- sta non può che essere terrore di te, e per te- nerti buono cerco di comprarti in qualche modo con preghiere raccogliticce, con tempi-scarto, dedicandomi a te tra un affare e l’altro. Signore, è tempo di purificazione e di verità, è tempo per me che io passi all’altra riva dentro la tua barca, così come sono. Signore, per favore, prendimi per mano e precedimi perché da solo non sono in grado e io sono troppo lontano anche dagli al- tri, dalla mia comunità, da quella Chiesa che spesso uso come stazione ferroviaria per tim- brare un biglietto per un treno che non mi porta a te, ma mi fa tornare a me stesso. Sì, andiamo all’altra riva. Andiamo insieme, Signore Gesù: «Maranàh, thà. Signore, Vieni!» (1Cor16,22). Paolo Farinella, prete [La Preghiera, continua-9]. 28 MC NOVEMBRE 2018 Insegnaci a pregare
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