Missioni Consolata - Ottobre 2018
BOLIVIA P rima di tutto mi piace sottolineare che il quinto Congresso missionario americano (Cam V) - il primo a cui io ho partecipato - è stato un’esperienza ricchissima di Chiesa. Al Congresso hanno partecipato giovani e meno gio- vani, sacerdoti, vescovi, religiosi, religiose, seminari- sti e laici di tutto il Continente e anche da altri paesi. Qui ho sentito davvero che la Chiesa è universale ed è madre perché raccoglie tutti i suoi figli e figlie pro- venienti da ogni parte e dà ad ognuno la possibilità di sentirsi famiglia e poter sviluppare tutti i propri doni e qualità. In quelle giornate abbiamo respirato la missione e capito - sia dalle parole che dai segni - che senza missione non c’è Chiesa, non c’è Vangelo. In secondo luogo, mi piace sottolineare la dimen- sione della gioia, della festa. Lo slogan del Con- gresso era: «Annuncia la gioia del Vangelo». L’Ame- rica è viva, piena di giovani e di voglia di ballare, di vivere di stare assieme. La gioia è una caratteristica di questi popoli e culture e al Congresso essa si è manifestata in tutte le sue forme. Davvero la Chiesa deve recuperare questa dimensione gioiosa della fede. Credo che per troppo tempo abbiamo predi- cato una fede di rinuncia e sacrificio: è giunta l’ora di predicare la gioia di essere cristiani e di annun- ciarla con tutta la nostra forza cantando e cele- brando la vita. Il nostro Fondatore, il Beato Guseppe Allamano, di- ceva che un missionario deve essere gioioso e che questa gioia nasce dalla fede, dal sentirsi vicini al Si- gnore. È questo che a Santa Cruz de la Sierra è stato ripetuto affinché ognuno di noi lo custodisse La testimonianza È finito il tempo dei navigatori solitari Le riflessioni del superiore generale dei missionari della Consolata, al suo primo Cam. nel proprio cuore come tesoro prezioso per portarlo nel proprio ambiente dove annunciare la gioia del Vangelo. Infine, mi piace condividere alcuni punti che possono essere importanti anche per il nostro percorso di missionari della Consolata. Al Congresso, in diverse forme, è stato ripetuto che oggi la missione non si può più fare da soli, che dob- biamo aprirci e collaborare con tutte le forze che vo- gliono viverla, primi fra tutti i laici. Come ci ha inse- gnato la Redemptoris Missio , la missione non è opera di navigatori solitari, ma di discepoli missionari aperti, sensibili e solidali. In secondo luogo, in diverse maniere è stato ripetuto che la missione è il paradigma della Chiesa, ma che essa è anche più grande della Chiesa perché va ol- tre, grazie a tutte le sue persone che cercano e lavo- rano per il bene dell’umanità. Siamo umili servitori, insieme a tanti altri conosciuti e sconosciuti, della presenza del Regno e questa è la nostra gioia e la nostra forza. Per ultimo, credo che il Congresso missionario di Santa Cruz de la Sierra ci abbia ricordato che il cammino di rivitalizzazione e ristrutturazione in una visione di missione continentale, che come Isti- tuto abbiamo iniziato, sia in sintonia con quanto sta vivendo la Chiesa: che se, da una parte, essa deve lanciarci in una missione contestualizzata, dall’altra non deve farci dimenticare la sua dimensione uni- versale. Perché siamo persone appartenenti a tutta l’umanità, nonché fratelli di tutti i popoli e di tutte le culture. Stefano Camerlengo
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