Missioni Consolata - Ottobre 2018

OTTOBRE2018 MC 23 mente negli avvallamenti del ter- reno causa anche la salinizzazione di aree che erano adibite al pa- scolo degli animali. Così, paradossalmente, gli sforzi dell’uomo per creare un paradiso dove c’era il deserto finiscono per creare il deserto dove c’era il para- diso. E di questo facciamo espe- rienza non solo in Asia Centrale. Quarta, ma non meno importante conseguenza di tale dissennata po- litica è la trasformazione prodotta nei comportamenti della gente. Da bene scarso, l’acqua è diventa un bene illimitato. A partire da questo dato, vero nell’ hic et nunc , ma illu- sorio, quindi falso, se si considera la globalità del fenomeno, si è creata una mentalità distorta. Gli uomini si abituano presto alle comodità e la facilità con cui hanno accesso alle cose cambia la loro mentalità e lo stile di vita. Quando non si procurano perso- nalmente i beni di cui si servono, quando non sanno da dove ven- gono, che cosa comporta il loro uso nell’economia dell’ecosistema, gli uomini non ne imparano né il valore, né il corretto utilizzo. È stato così che i turkmeni, per mil- lenni accorti risparmiatori d’acqua, hanno imparato a sprecarla. Una capitale in marmo bianco Ashgabat è la città dei presidenti, non dei suoi abitanti. Prima il presi- dente Saparmurat Niyazov (1940- 2006), poi quello attuale, Gurban- guly Berdymukhamedov, l’hanno trasformata per renderla conforme alla propria idea di capi- tale: palazzi presidenziali con cu- pole d’oro, monumenti, torri, com- plessi governativi e residenziali, il villaggio olimpico, centri commer- ciali, tutto in scintillante marmo bianco. Sono stati aperti viali che sembrano autostrade, tracciati parchi con fontane e giochi d’ac- qua; ovunque ci sono aiuole fio- rite. Per lasciare posto a tutte que- ste meraviglie sono stati abbattuti interi quartieri di case unifamiliari e i loro occupanti nel migliore dei casi sono stati trasferiti in condo- mini periferici, nel peggiore sono stati semplicemente sloggiati, senza ricevere risarcimenti. A cam- minare per gli sterminati marcia- piedi dei nuovi quartieri si ha l’im- pressione di vivere in un quadro di De Chirico, fatto di improbabili ar- chitetture e spazi vuoti. In questa città lunare, che non ha nulla a che vedere né con la storia e tradizioni turkmene, né con il luogo dove si trova, ho assistito a continui sprechi d’acqua, e non solo per innaffiare prati e fiori, che altrimenti seccherebbero in poche ore. Ashgabat è anche chiamata «la città bianca» per il colore dei suoi edifici e ha meritato di entrare nel libro Guinness dei primati per l’estensione delle superfici rico- perte in marmo bianco. Forse per rimanere all’altezza del nome, ad Ashgabat tutto deve essere lindo e pinto. L’acqua scorre a fiotti men- tre eserciti di donne lustrano i marciapiedi con ramazze e scopet- toni. Le macchine, anch’esse bian- che per la maggior parte, devono essere sempre pulite, in caso con- trario si prende la multa. Ciò ob- bliga i proprietari a continui la- vaggi. Nei luoghi pubblici ho visto rubinetti lasciati aperti, tubature che perdevano in continuazione. Ashgabat è bagnata dal canale Ka- rakum che le assicura un abbon- dante approvvigionamento d’ac- qua. Eppure, basta allontanarsi di Naturalmente, visto che in realtà non si trattava di un bene illimi- tato, se si prendeva l’acqua da una parte, la si toglieva dall’altra. Così, una delle prime e più ovvie conse- guenze della costruzione del ca- nale fu che alla fine degli anni Ot- tanta l’Amu Darya in alcuni periodi dell’anno non raggiungeva più l’A- ral. Fenomeni simili interessavano anche l’altro immissario dell’Aral, il Syr Darya. Ciò ha dato inizio a un processo di prosciugamento del lago, con danni immensi all’ecosi- stema e all’economia di intere re- gioni. Una catastrofe sociale e am- bientale arrivata ormai agli ultimi stadi. Acqua, da risorsa scarsa a risorsa sprecata L’acqua sottratta ai fiumi veniva utilizzata bene? Se ne ricavava il massimo, come con gli antichi qa- nat ? Naturalmente la risposta è no. Il fatto che fosse trasportata per chilometri attraverso il de- serto, o «stoccata» in grandi bacini artificiali, moltiplicava le superfici esposte all’evaporazione. A ciò si aggiunga che, non essendo gli alvei di canali e bacini rivestiti di mate- riale impermeabile, buona parte dell’acqua si perdeva per strada a causa dell’infiltrazione nel terreno. Il sistema risultava, quindi, molto inefficiente. Inoltre, il senso di onnipotenza e il- limitatezza fece sì che nessuno si preoccupasse di creare meccani- smi di controllo che obbligassero al risparmio: l’acqua era gratis, non c’erano contatori a misurarne le quantità utilizzate, per cui la si usava senza pensieri e gli sprechi erano enormi. Si calcola che a tutt’oggi vada perduto il 30% del- l’acqua impiegata per irrigare 5 . L’eccesso d’irrigazione combinato con un drenaggio insufficiente porta alla salinizzazione del suolo. È questo un fenomeno tipico dei suoli aridi. L’acqua, se non oppor- tunamente drenata, ristagna e scioglie i sali contenuti nel terreno, che l’elevata evapotraspirazione porta, poi, ad accumularsi in super- ficie. È una delle principali cause di degrado e infertilità del suolo. Non solo intere aree coltivate devono essere abbandonate, ma l’acqua che drena e si raccoglie spontanea- MC A © Martha de Jong Lantink

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