Missioni Consolata - Ottobre 2018

OTTOBRE2018 MC 19 MC A (segue a pagina 23) Risultati così eccezionali non di- pendevano, però, solo dalle tecni- che d’irrigazione, ma anche dall’e- strema cura posta nell’amministra- zione della risorsa, tesa a evitare gli sprechi. Le buone pratiche svilup- pate nei secoli permisero agli abi- tanti di quelle zone di convivere con una natura aspra, sfruttan- done al meglio le possibilità per trarne il proprio sostentamento. Con l’arrivo dei russi, nella seconda metà dell’800, i lavori d’irrigazione furono notevolmente potenziati per incrementare la produzione di cotone e cereali; tuttavia, si conti- nuò a seguire i vecchi sistemi e ri- masero in uso le tradizionali forme di amministrazione dell’acqua da parte della comunità. Inoltre, fino all’inizio del Ventesimo secolo le aree irrigue erano principalmente quelle pedemontane e lungo i corsi d’acqua; ciò permetteva di conser- vare un equilibrio naturale tra agri- coltura e disponibilità d’acqua, e di limitarne la dispersione nel suolo. I sovietici, opere e disastri I guai cominciarono nel periodo so- vietico. La terra ormai apparteneva allo stato, che ne decideva l’uso e le modalità di sfruttamento. La lo- gica che sottostava a quelle moda- lità è ben sintetizzata dal famoso aforisma del biologo Ivan Michu- rin: non possiamo aspettare che la natura ci conceda le sue grazie, no- stro compito è strappargliele. In- tere generazioni crescevano con l’idea che l’uomo potesse e do- vesse correggere «i difetti» della natura, un’ubriacatura che conta- giava uomini d’ingegno, artisti, scrittori, che mettevano il proprio talento al servizio di progetti tanto più aleatori quanto più lontani dalla realtà. Fa una strana impres- sione leggere ora le pagine, o guar- dare i quadri ispirati all’idea di tra- sformare il deserto del Karakum «nell’oasi fiorita del socialismo», come si esprimeva lo scrittore An- drej Platonov in un suo articolo 4 . Siccome, però, l’uomo-dio non può creare dal nulla l’acqua, per far nascere l’eden nel deserto do- veva andare a prenderla dove Dio l’aveva messa in abbondanza, cioè dall’Amu Darya. Mentre l’uomo- creatura non aveva forzato la na- tura e, consapevole della propria impossibilità di creare dal nulla, aveva cercato di ottenere il mas- simo entro i limiti da lei segnati, l’uomo-dio non si è fatto fermare da queste quisquilie e ha proget- tato e realizzato grandi opere d’irri- gazione a cielo aperto. In Turkmeni- stan la più imponente di tutte è il canale che prende il nome dal de- serto che attraversa per 1.375 chi- lometri: il Karakum. La sua costru- zione fu iniziata nel 1954 e comple- tata nel 1988. Ai tempi si esaltò quest’opera come una conquista dell’ingegno umano e dell’ingegne- ria sovietica. Quando arrivò l’acqua con il canale Karakum agli abitanti del deserto sembrò un miracolo. Una striscia azzurra in un oceano giallo, riarso e abbagliante: così è rappresentato questo prodigio nella pittura turk- mena del tempo. Era una rivolu- zione. Per millenni l’acqua era stata un bene difficile da procurarsi e scarso, quindi da utilizzare e custo- dire con cura; ora se ne aveva in ab- bondanza, correva copiosa da una fonte che sembrava inestinguibile. Ora che l’irrigazione non era più li- mitata dalle risorse locali ci si po- teva permettere di creare insedia- menti in luoghi prima impensabili, perfino nel cuore del deserto. • Acqua | Deserto | Irrigazione | Gas naturale • © Maria Chiara Parenzo Ashgabat Turkmenistan Uzbekistan Kazakhstan Mar Caspio Afghanistan Iran

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