Missioni Consolata - Ottobre 2018
18 MC OTTOBRE 2018 la vita di uomini e animali, la pro- duzione agricola là dove prima c’era il deserto. Questo antico e in- gegnoso sistema è stato utilizzato fino al Ventesimo secolo. «Padroni del Creato» Il Ventesimo, come sappiamo, è il secolo in cui al lavoro dell’uomo si affianca in maniera sempre mag- giore quello delle macchine. Lo sfruttamento del lavoro mecca- nico permette imprese che nel passato sarebbero state inattua- bili. Per la vita in condizioni climatiche come quelle centroasiatiche l’ac- qua è la risorsa più importante, da sempre la sua presenza e le moda- lità di utilizzo sono state elemento essenziale per la sopravvivenza. Con il potenziamento delle capa- cità umane d’intervenire sull’am- biente si sarebbe potuto preve- dere un miglioramento nelle forme di sfruttamento di questa ri- sorsa. Invece spesso è successo il contrario. Paradossalmente l’ab- bondanza di mezzi a disposizione ha peggiorato la situazione a lungo termine, soprattutto in società rette da sistemi dittatoriali, come dal Ventesimo secolo in poi sono state quelle centroasiatiche. Con l’invenzione di macchine po- tenti l’uomo ha pensato di poter plasmare il mondo a proprio piaci- mento, si è creduto capace di mi- gliorare l’opera del Creatore. Un tempo la presunzione era tenuta a freno dalla mancanza di mezzi - l’uomo aveva meno possibilità di fare danno - e dalla consapevo- lezza del proprio essere creatura li- mitata. Con la modernità la pre- sunzione di sentirsi padroni del creato ha risparmiato pochi. Ciò di- pende, forse, anche dal fatto che sempre più persone vivono in am- bienti artificiali e che le politiche sono per lo più fatte dai cittadini, persone che non sono più in stretto contatto con le altre crea- ture. Ciò cambia la mentalità senza neppure rendersene conto. Sem- pre più chiusi nelle nostre città, non abbiamo più idea del mondo naturale. Il cibo non lo produ- ciamo, lo consumiamo. Per un cit- tadino la frutta viene dal fruttiven- dolo, gli animali sono a pezzi sui banchi del supermercato, o al guinzaglio, o in gabbia, l’acqua viene dal rubinetto e sparisce nello scarico. Si potrebbe andare avanti a lungo, ma è meglio tornare in Asia Centrale, per la precisione, in una delle sue repubbliche: il Turk- menistan. Amu Darya, storia di un fiume Il Turkmenistan è occupato per circa l’80% dal deserto del Ka- rakum. Di gran lunga la sua mag- giore risorsa d’acqua è l’Amu Darya, fiume che scende dal Pamir (un altipiano esteso nei territori di Afghanistan, Tagikistan e Cina), scorre per un lungo tratto in terri- torio turkmeno e un tempo an- dava ad alimentare il Mar d’Aral, noto lago salato posto tra l’Uzbeki- stan e il Kazakistan. Fiumi minori, con forti variazioni stagionali nella portata d’acqua, sono a Sud il Mur- ghab e il Tejen, che vanno a per- dersi nel deserto del Karakum, a Ovest l’Atrek, che sfocia nel Mar Caspio. Dai Kopet Dag, rilievi posti tra Iran e Turkemenistan, scen- dono piccoli fiumi, a volte poco più che torrenti primaverili. In simili condizioni geografiche è facile capire quanto cruciale sia la possibilità di accedere all’acqua. I primi tentativi di utilizzarla per l’ir- rigazione sono documentati già 7-8 mila anni fa. Nel V secolo a.C., grazie ai persiani, fu introdotto il sistema dei qanat , che trovò ampia applicazione nella regione dei Kopet Dag. Con i qanat fu possibile estendere la superficie di terra coltivata e praticare l’agri- coltura anche in zone aride. Per la conservazione dell’acqua si co- struivano cisterne sotterranee, ab anbar , o sardob 2 , che non solo ne evitavano l’evaporazione, ma la mantenevano fresca. Un’altra storia di successo è quella dell’oasi di Merv, dove dal VII se- colo d.C. sfruttando le acque del fiume Murghab fu sviluppato un intelligente sistema d’irrigazione che permetteva di dare cibo a una popolazione di circa un milione di abitanti e perfino di esportarne nelle regioni circostanti 3 . E il Mur- ghab rappresenta solo il 5% delle risorse d’acqua dell’odierno Turk- menistan. Sopra : festeggiamenti per l’apertura della nuova sede delle Nazioni Unite a Ashgabat (2016). A destra : danze in costume davanti a una gigantografia del presidente Berdymukhammedov. # © Amanda Voisard / UN Photo
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