Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2018

Iván Duque ha fatto rimandare l’e- manazione del regolamento, ndr ) - denominato Jurisdicción Especial para la Paz . Essa è una giustizia pa- rallela alla giustizia ordinaria. Que- sta istituzione ha già 51 magistrati che dovranno affrontare il tema della giustizia cosiddetta “transi- zionale” ( justicia transicional ). Perché è importante? Se gli ex guerriglieri confessano la verità prima di essere giudicati, essi avranno non più di otto e non meno di due anni di condanna in carceri aperte, senza sbarre. Se invece non confessano la verità o se la dicono dopo o se questa viene scoperta successivamente, gli ex guerriglieri rischiano fino a 20 anni da trascorrere in prigioni tradizionali, con le sbarre. Si tratta di misure di giustizia tran- sizionale che verranno applicate solamente per i prossimi 10 anni. Questa giustizia è una giustizia re- staurativa (riparativa, riconcilia- tiva, di transizione sono tutti sino- nimi, ndr ) che cerca di “riparare” le vittime e la società. E soprattutto ha un concetto inno- vativo di castigo perché non si pensa di mettere le persone in car- cere ma in luoghi diversi dove pos- sano rimanere assieme, fare atti- vità in un luogo aperto anche se vi- gilato. Il contrario del concetto perverso di carcere chiuso». Padre Leonel, il tema della «giu- stizia restaurativa» invece della «giustizia punitiva» le è molto caro. Tuttavia, è risaputo che una parte consistente della stessa gerarchia cattolica co- lombiana non è dello stesso av- viso, adottando in toto le posi- zioni dell’ex presidente Álvaro Uribe. «Debbo dirlo chiaramente: la Chiesa in Colombia e tanti vescovi sono divisi tra le due istanze: giu- stizia punitiva o giustizia restaura- tiva? Ci sono vescovi - io ne sono testimone - che dicono: “No, que- sti criminali vanno messi in car- cere”. Se potessero dirlo chiede- rebbero la pena di morte che però in Colombia non esiste. Le carceri sono la soluzione più perversa, sono la negazione del- 56 MC AGOSTO-SETTEMBRE 2018 CoLombIa l’immaginazione umana, sono i luoghi peggiori della società, sono le università del crimine. Questi luoghi sono i luoghi dell’inferno che troppi vescovi ancora predi- cano». L’«economia politica dell’odio» Lei utilizza un termine partico- lare: «economia politica dell’o- dio». Cosa intende con esso? «I partiti sono stati venditori per- versi di odio. E loro rappresentanti hanno guadagnato sulla base di questo. La stessa guerriglia sa di aver venduto odio. Io non voglio dire chi è di più e chi di meno. Tut- tavia, la cultura politica della Co- lombia si è trasformata in una di- stillazione di odio che genera una cultura della vendetta. Concretamente questa si è tra- sformata in più carceri, più sta- zioni di vigilanza nelle strade, più uomini nell’esercito, più armi. Tutto questo è cultura della vio- lenza e dell’odio. E la gente, la base umana è ansiosa di ricevere questo tipo di proposte. Ciò spiega perché quando si è trat- tato di fare il referendum sull’ap- provazione o meno delle negozia- zioni, più del 50 per cento dei vo- tanti hanno detto “no”. Facendo chiaramente intendere che questi criminali delle Farc avrebbero do- vuto essere ammazzati. E che, se si fosse potuto, si sarebbe dovuto non solo mandarli a morte, ma mandarli a morte per tre volte. Ci siamo resi conto che il paese è an- cora dominato dall’odio. La parte più animale, più arcaica, più primi- tiva di noi sta ancora presente nei nostri cuori. In questo momento la grande sfida della Colombia, oltre ai problemi che conosciamo (terra, droga, vittime, reinserimento dei guerriglieri, eccetera), è quella di capire come trasformare la cultura della vendetta insita nella popola- zione. E soprattutto come trasfor- mare questa “economia politica dell’odio” che ci hanno venduto e che continuano a venderci». La scelta del perdono Padre, dopo 52 anni di guerra civile, 220mila morti, milioni di sfollati, non è difficile parlare di perdono? «Per prima cosa, intendiamoci bene su cos’è il perdono. Il per- dono non è dimenticare, non è ne- gare la giustizia, non è negare il do- lore che ho dentro. Il perdono è un esercizio meraviglioso che passa dalla vendetta alla compassione, alla misericordia, che alla fine - e qui parlo da missionario - è il cuore della predicazione di Gesù. Tutto questo necessita di una “tecnolo- gia”, di un filo metodologico che ci conduca dalla memoria ingrata (rabbia e rancore) a quella grata (compassione). Misericordia, compassione, per- dono sono l’espressione massima del regno di Dio. Il perdono elevato alla massima conseguenza. Sem- pre, fino a perdonare l’imperdona- bile». Il perdono e la riconciliazione si possono insegnare? «In questi ultimi 15 anni io e i miei collaboratori abbiamo lavorato per generare metodi e pratiche con- crete, quotidiane, replicabili, molti- plicabili, di perdono e riconcilia- A destra : metodologia del gioco e dell’espressione artistica. © Fundación para la Reconciliación #

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