Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2018
anni precedenti, l’infiltrazione di gruppi estremisti islamici (jihadisti) dall’estero, in particolare dall’Alge- ria, che si sono inizialmente alleati con le milizie locali indipendentiste di etnia tuareg. Insieme conqui- stano il territorio del Nord, occu- pando le città e imponendo la loro legge. I soldati regolari fuggono a Sud. Ma l’alleanza si rompe e i jiha- disti hanno la meglio sui Tuareg. A gennaio 2013 puntano addirittura sulla capitale Bamako. È per que- sto che intervengono prontamente i militari francesi, in protezione dell’ex colonia (e dei propri inte- ressi). L’operazione francese Sérval respinge i miliziani e riconquista le città del Nord. Islamisti e indipen- dentisti si rifugiano nello sconfi- nato territorio desertico. Quando l’operazione Barkhane sostituisce Sérval, intervengono i caschi blu, con la Minusma: missione composta da soldati africani dei paesi vicini, ma anche da un grosso contingente te- desco. Gli eserciti stranieri affiancano quello maliano, le Forze armate del Mali (Fama), che sono allo sbando. «La situazione oggi è complessa e molto volatile - commenta Ou- smane -, perché dopo la firma de- gli accordi di pace tra il governo e i gruppi armati nel giugno 2015 (solo alcuni dei gruppi, quelli indi- pendentisti tuareg non radicaliz- zati, ndr ), c’è stata una mancanza di volontà, in primo luogo dello stato, di mettere in pratica le con- dizioni sancite dagli accordi stessi 1 . E c’è anche una certa reti- cenza da parte dei gruppi armati per quanto riguarda il processo di disarmo, perché le armi sono l’u- nica garanzia che hanno per poter fare un’eventuale negoziazione». La non applicazione degli accordi crea una situazione di vuoto istitu- zionale, che ha ripercussioni im- portanti. «Lo stato non è presente in certe zone e i gruppi armati “fir- matari” non si incaricano della si- curezza territoriale. Questo fa sì che sul terreno ci sia un’avanzata delle forze islamiste, che approfit- tano della situazione di abban- dono del territorio. Assistiamo inoltre, per lo stesso motivo, a una disgregazione dei gruppi armati in tanti gruppuscoli più piccoli, con tendenza a diventare formazioni a carattere comunitario, ovvero a AGOSTO-SETTEMBRE 2018 MC 11 migranti, entrambi maliani. Due storie simili, due destini diversi. Anche Ousmane ag Hamatou, 37 anni, è del Mali. Lui lavora a Ba- mako, la capitale, per una Ong italiana, l’Lvia di Cuneo, della quale è il responsabile nel paese africano. Ousmane non ha nes- suna intenzione di migrare. È in Italia, su invito della sua Ong, per formazione e una serie di incon- tri, poi tornerà in patria dalla sua famiglia e al suo lavoro. Lo incontriamo, per farci spiegare cosa sta succedendo in Mali, e per provare a capire perché, ra- gazzi come Mamadou e Sacko sono scappati dal paese e molti altri continuano a farlo. Perché si scappa dal Mali Ma facciamo un passo indietro. Il Mali, paese cerniera tra l’Africa subsahariana e il Sahara, nel 2012 precipita in una crisi profonda, dopo un ventennio di relativa sta- bilità (cfr. MC giugno 2017). Il Nord del paese, l’Azawad, ha visto, negli MC A • Cooperazione | Conflitti etnici | Jihadisti • A sinistra : alcuni bimbi del programma di nutrizione mangiano insieme. Qui : ritratto di Ousmane ag Hamatou. Sopra : riunione di sensibilizzazione in un villaggio del Nord. # © Marco Bello
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