Missioni Consolata - Luglio 2018
72 MC LUGLIO2018 4 chiacchiere con... un assurdo in quel mondo in cui il celibato non esi- ste e non è un valore, anzi è un disvalore. Solo chi mi conosce bene dice e ripete senza stancarsi che io sono somala come loro. Io mi sento madre auten- tica di tutti quelli che ho salvato. Questa è certamente un’esigenza fondamen- tale della tua natura. Certo io in loro vedo Lui, Gesù il Cristo, l’agnello di Dio che patisce nella sua carne i peccati del mondo. Ma il dono più straordinario, il dono per cui ringra- zierò Dio e loro per sempre, è il dono dei miei no- madi del deserto. Loro musulmani mi hanno inse- gnato la fede, l’abbandono incondizionato, la resa a Dio, una resa che non ha nulla di fatalistico, una resa rocciosa e arroccata in Dio, una resa che è fidu- cia e amore. I miei nomadi del deserto mi hanno in- segnato che devo fare tutto, tutto incominciare, tutto operare, tutto sperare, sempre nel nome di Dio. Sei mai stata aiutata da altri volontari nel tuo lavoro? Dall’Italia e da altri paesi europei arrivavano in pe- riodi diversi dei volontari per aiutarmi: c’era chi rima- neva qualche mese, chi trascorreva un determinato periodo, come le ferie estive, ma nessuno ha mai de- ciso di fermarsi per qualche anno. Economicamente le opere che avevamo avviate erano sostenute da un Comitato di aiuto sorto nella mia città a Forlì, e da al- tre organizzazioni internazionali. Del resto, io non ap- partenevo a nessuna congregazione od organismo religioso o laico, mi bastava la scelta fatta nella gioia della mia gioventù, di dedicarmi a Dio e al prossimo senza etichette o simboli esteriori. Si può dire che tu donna di poche parole, eri im- pegnata più ad agire che a parlare, tanto meno di te stessa. In compenso se in Italia, al di fuori della mia città, potevo essere poco conosciuta, le somale emigrate nel nostro paese, i nomadi del Kenya, i tubercolotici della manyatta, i malati di Aids di Borama e i rifu- giati del Nord Somalia, cioè gli ultimi e più sconso- lati della Terra, mi facevano buona pubblicità par- lando delle nostre attività non appena se ne presen- tava l’occasione. Inoltre, tu credevi fermamente nel dialogo: tra le persone, le culture, tra fedi diverse. Si, ma senza indietreggiare di un millimetro, senza dimenticare l’assoluta originalità del Vangelo. Ogni giorno noi ci adoperavamo per la pace, per la com- prensione reciproca, per imparare insieme a perdo- nare. Sapessi come è difficile il perdono! I miei mu- sulmani facevano tanta fatica ad apprezzarlo, ma lo chiedevano per la loro vita, riconoscevano in questo l’originalità della nostra presenza in mezzo a loro. Il 25 giugno del 2003 Annalena Tonelli riceve dal- l’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati, il pre- stigioso premio «Nansen Refugee Award», per la sua opera a favore dei rifugiati e dei perseguitati. La sua tenace dimostrazione di amore gratuito - capace di perdonare anche chi tenta di ammaz- zarla - fa breccia in tante delle innumerevoli per- sone che Annalena accosta durante la sua avven- tura africana. Solo alla luce di questo si capisce come mai donne musulmane accettino che una straniera (per di più cristiana) insegni loro - ben prima che la lotta alle mutila- zioni genitali diventi una bandiera delle femministe occidentali - come liberarsi da una pratica tanto antica quanto devastante per le donne. Il paradosso è che a capire in profondità il se- greto di quella donna umile e tenace è proprio il vecchio capo musulmano di Wajir: «Noi musulmani abbiamo la fede - confidò una volta alla missionaria italiana -, voi l’a- more». Il 5 ottobre 2003, mentre compie l’ultimo giro tra gli ammalati del suo ospedale a Borama, Annalena viene uc- cisa con un colpo alla nuca, sparato da un fanatico. Ha 60 anni, dei quali 34 trascorsi in Africa tra i poveri più poveri. Per suo espresso desiderio, è sepolta a Wajir, in Kenya, dove c’è il suo primo ospe- dale. Don Mario Bandera Da Unhcr Somalia / Annalena: Legacy of a «Nobody» - un documentario su Annalena Tonelli
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