Missioni Consolata - Luglio 2018
LUGLIO2018 MC 37 D A prì la porta e si accorse che era venerdì... dai corridoi proveniva un olezzo nau- seante di pesce (il venerdì in prigione c’è sempre il pesce... e c’è sempre lo stesso olezzo!). Come ogni mattina, A. si era alzata verso le 7.30 e, bevuto il suo caffè, aveva cominciato a sbrigare le faccende di «cella» (già, nulla cambia, nemmeno in prigione, quelle ci toccano sempre) e fu proprio in quel momento che, alzati gli occhi verso quell’orizzonte, grigio anche nei giorni di sole, vide Ele davanti all’ufficio matricole. Per chi non lo sapesse quest’ufficio si potrebbe descrivere come una specie di tornello che se lo prendi in un senso è la prima porta verso l’inferno, ma se lo prendi al contrario è l’ultima porta prima del paradiso: Ele quel giorno lo stava prendendo dalla parte sbagliata. In qualche modo A. fu immediata- mente colpita da quella miriade di colori su sfondo nero, era un arcobaleno di fucsia, verde pi- sello e giallo; A. pensò tra sé e sé che nonostante quella ragazza fosse «nera» (perché è così che le detenute bianche chiamano quelle di colore) di «nero» aveva ben poco e sprigionava allegria colo- rata in ogni suo movimento, mentre il suo atteg- giamento complessivo aveva un non so che di ar- monico, di aggraziato. Dai corridoi proveniva il solito brusio: «Ecco, ne arriva un’altra», «Nuova giunta», «Africa» e via via cominciava la lotteria per scoprire per quale motivo Ele stava entrando a far parte di quella grande famiglia allargata (già, perché, per molti detenuti il carcere diventa, per un determinato periodo di tempo, una nuova famiglia, mentre per altri è l’unica che abbiano mai avuto... per tutti co- munque è la famiglia adottiva che nessuno può ri- fiutare). Mentre la vedeva camminare, A. avrebbe voluto avvisarla, prepararla, proteggerla come una mamma fa istintivamente verso una figlia (d’al- tronde si dice che una tigre in gabbia rimane sem- pre una tigre ma anche una madre in gabbia ri- mane sempre una madre), perché Ele sembrava proprio una bambina dal corpo agile di una gaz- zella e dagli occhi impauriti di un cerbiatto e una madre riconosce sempre la paura negli occhi di un bambino. Però dalle finestre del carcere non si può urlare, si rischia un rapporto disciplinare (la prima cosa che ti insegnano in carcere è quella di farti gli affari tuoi, che è quasi sempre meglio) e allora A. rimase in silenzio. La storia di Ele DI A LESSANDRA R OSA [I TALIA ] © AfMC 2008
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