Missioni Consolata - Luglio 2018
(cf Is 58,8.10). Quando leggo l’esodo, sono preso da un senso di euforia per la tua irruzione nella scena della storia in difesa di un popolo oppresso: «Ho os- servato… ho udito… sono sceso» (Es 3,7-8), dando per avvenuto quanto ancora deve accadere, così profonda è la tua avversione per ogni ingiustizia. Mi guardo attorno, sono circondato da ingiustizia e schiavitù, migranti che vagano per il mondo, figli e figlie, specialmente bambini e bambine senza papà e mamma, soli, preda di sciacalli che li comprano, li vendono, li uccidono per espiantare loro anche gli organi… e non faccio una piega, preoccupato come sono della mia sorte o dell’idolo della mia sicurezza, sapendo che non ho il potere di contare i capelli che ho in capo (cfr. Mt 10,30). Celebro l’Eucaristia, spezzo il Pane che appartiene a tutte le genti (Is 2,1-5), conservo anche gli avanzi per quelli che ver- ranno dopo, ma sono abitato dall’affanno, dal peso di quello che mangerò o berrò o vestirò. 3. Uccelli del cielo e gigli del campo. Quando mai mi sono sentito libero come un uccello che affida la propria vita al «vento» (pnèuma)? Io mi nutro dell’Eucaristia e bevo il vino della vita del Signore, come posso «preoc- cuparmi con affanno» del domani, accumu- lando e ammassando per me, dando così prova di non credere alle parole del Figlio tuo e Si- gnore mio, Gesù? È bello guardare gli uccellini nei giorni feriali, per poi, magari, cacciarli nel fine settimana; è ine- briante osservare la natura e respirare all’aria aperta della campagna il profumo dei fiori, ma mi rendo conto che la mia esperienza è solamente «estetica», occasionale. Nulla m’insegnano queste creature «vive», maestri di vita e di fede: si abban- donano, si lasciano nutrire e vestire condividendo la loro bellezza con chiunque voglia. Sì, penso di va- lere meno di un passero perché non posseggo la sua intelligenza e il suo splendore. 4. Gente di poca fede. Qui la certezza è definitiva: la preghiera è la di- scriminate tra «paganesimo» e «fede»: il primo abbonda di parole e di richieste perché deve convincere se stesso di essere stato un piazzi- sta bravo a pregare; la seconda non perde tempo a cercare di cosa ha bisogno perché si abbandona tutta tra le braccia di chi la cura e la protegge di propria iniziativa, per abbondanza di amore e paternità. Riesco a misurare la mia fede? In che modo? Op- pure sono fermo alla religione del «dovere/ob- bligo», impegnandomi il minimo indispensabile? Sono tra coloro che «praticano molto, ma amano poco»? Fede ha la stessa radice di fiducia che è l’ac- coglienza di un altro cui si dà la chiave del cuore e della vita. Chi è costui? Posso, in coscienza dire che sia il Signore? Oppure semplicemente mi fido solo di me stesso perché non sono certo di lui? Oggi mi viene spontaneo identificarmi con Tommaso, quando tu lo redarguisci con tenerezza: «Non es- sere incredulo, ma credente» (Gv 20,27). «Mio Si- gnore e mio Dio», aumenta la mia fede (Gv 20,28; Lc 17,5). 5. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia. Come immagino il «regno di Dio»? Forse penso che sia qualcosa di là da venire oltre la morte, così da essere libero di fare ciò che voglio al di qua della soglia della morte? Il regno di Dio è qui, ora e adesso (cf Mc 1,15); si- gnifica «un nuovo modo di relazionarsi con gli altri» in vista dell’incontro con Dio alla fine della Storia. Qual è il grado di «relazione» di cui sono capace? Ho coscienza che la realizzazione del regno di Dio sia una realtà che riguarda l’umanità di oggi e in parte dipende dalla mia capacità di testimoniare la gratuità di Dio e la sua benevolenza verso tutti? Ho mai pensato che il ministero profetico della mia te- stimonianza ( etimolog. = martirio), sia il fonda- mento della credibilità di Dio nel nuovo modo di re- lazionarsi degli uomini e delle donne? Questa con- sapevolezza mi opprime, mi provoca ansia, o mi li- bera verso l’orizzonte del regno di Dio? Come edi- fico «qui e ora» questo regno? Respiro del cuore Signore, non so cosa significhi «fede» perché non mi sono mai occupato di minuzie. Ti ho incontrato in Gesù, tento di lasciarmi amare, ma spesso vivo resistenze che nemmeno immaginavo possibili. Ogni giorno devo «pensare» dove mi trovo e sce- gliere cosa voglio, dove andare. Mi ritrovo spesso a confidare nei «carri e nei cavalli» del faraone piut- tosto che «confidare nel suo santo Nome» (Sal 33/32,21). Pur non essendo in grado di contare i ca- pelli del mio capo (cfr. Mt 10,30), non penso mai che tu mi tieni in vita, istante dopo istante: posso morire in qualsiasi momento, ma dò tutto per scon- tato come se tutto dipendesse da me e dall’accu- mulo di cose e progetti e «granai» futuri. Il mio ab- bandono in te è relativo, e a volte condizionato al grado di sicurezza che mi sono garantito. «Signore Gesù, abbi pietà di me, peccatore!» (Lc 18,13.39; Mc 10,47), tu che custodisci e nutri gli uccelli del cielo e vesti i gigli del campo, splendenti più di Salo- mone assiso sul suo trono, accoglimi come sono e manda il tuo Spirito a rinnovare il mio volto perché tu possa in esso rispecchiarti e riposarti, contem- plando la mia immagine che sempre più desidera somigliare a te che mi hai chiamato prima ancora di essere tessuto nel ventre di mia madre (cfr. Ger 1,5). Vieni, Signore e trova il tuo riposo, affinché, li- bero da ogni zavorra, piccola o grande, possa ralle- grare il tuo cuore. Dammi la gioia di essere testi- mone della tua Shekinàh e chiunque veda me, possa, dopo aver lenito eventuali ferite, dire a se stesso: «Ecco come mi ama Dio». Paolo Farinella, prete [La Preghiera, continua-16] 34 MC LUGLIO 2018 Insegnaci a pregare
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=