Missioni Consolata - Giugno 2018

GIUGNO2018 MC 79 Pagina accanto : ritratto di mons. Demichelis. A lato : la Consolatina che Demichelis ha la- sciato in eredità all’Allamano. # troneggiava un bel quadro di Maria Consola- trice. In sacrestia trovai un sacerdote che stava istruendo sei o sette chierici sulle ceri- monie che dovevano aver luogo. Un po’ sbarazzino come devono essere i giornalisti mi presento: “È lei il canonico Al- lamano?”, e gli espongo il motivo della mia venuta. Mi diede i nomi dei quattro partenti. Chiesi i nomi dei sacerdoti che avrebbero assistito il cardinale. Mi rispose che non oc- correva dirli, ma alle mie insistenze si ar- rese: “Scrivi: canonico Giacomo Camisassa, poi scrivi: Allamano”. “Il nome?”. “Giuseppe, ma scrivi solo Allamano”. Pensai: che per- sona modesta! Il direttore mi aveva detto che il Camisassa era solo il vice rettore. Qualsiasi altro mi avrebbe detto: scrivi prima il nome del superiore. Questa considera- zione continuò a venirmi in mente in seguito ogni volta che mi presentavo per qualche servizio giornalistico e che mi sentivo dire: “Lei è giornalista? Scriva anche il mio nome”». Questo giornalista, rimase amico dell’Allamano per tutta la vita. Un fatto complicato e improvviso. Partiti i primi quattro missionari, accadde un fatto non del tutto previsto e piuttosto dolo- roso, rarissimo, se non unico nella storia de- gli istituti religiosi. Così lo raccontò l’Alla- mano stesso: «Partiti i primi missionari per l’Africa, partirono anche subito per le loro case i pochi rimasti… così la piccola casa madre rimase vuota; dopo alcuni giorni io ho chiuso la porta, mi sono messo le chiavi in tasca, le presentai alla Ma- donna alla Consolata e, pre- gando ogni giorno ai suoi piedi, le dissi che l’opera era sua, le chiavi erano sue, le missioni erano state da lei volute, che pensasse lei ad ispirare vocazioni missiona- rie, a riaprire la casa. Così nella preghiera io passavo tranquillamente i miei giorni aspet- tando di vedere ciò che la SS. Consolata avrebbe fatto per le sue missioni… Però avendo anche un po’ di trepidazione per i cari missionari partiti, temevo di non potere poi presto aiutarli con altro personale». Qui emerge la pazienza, la tenacia e soprat- tutto la fede dell’Allamano. Il suo discorso continuò: «Per più di un mese la Consolatina rimase chiusa e vuota. Ed ecco che poco dopo otto nuovi sacerdoti sono entrati in questo Istituto, incominciando dal Signor Prefetto». C’è da aggiungere che quanti erano vicini all’Allamano si resero conto della gravità del fatto. Il can. G. Cappella, che lo aiutava nella conduzione del santuario, fece questo com- mento: «La prova era certamente grave, ma l’Allamano seppe superarla da forte». Dopo avere ricordato il particolare delle chiavi messe in tasca, concluse: «E dopo qualche tempo di preghiera inginocchiato di fronte all’icona della Consolata, venne a tavola con noi, senza dimostrare neppure l’ombra di abbattimento». L’Allamano era così: ogni evento, felice o doloroso che fosse, non lo riteneva mai come un fatto accaduto per caso, ma piutto- sto come un’indicazione, sia pure indiretta, della volontà di Dio a suo riguardo. Cercava di capire e poi agiva, sereno e deciso. P. Francesco Pavese

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