Missioni Consolata - Giugno 2018
74 MC GIUGNO2018 4 chiacchiere con... © autore anonimo, foto di pubblico dominio Qual era il vostro piano per liberare Cuba? Con Fidel prendemmo la decisione di sbarcare sulle spiagge di Cuba usando una vecchia nave, la Granma (la nonna). Era il 2 dicembre 1956 e noi, 82 guerriglieri ben addestrati, ci inoltrammo nel terri- torio montagnoso della Sierra Maestra, difficile da attraversare ma molto adatto per la lotta di guerri- glia che volevamo fare contro il dittatore Batista. La liberazione di Cuba vi tenne impegnati su di- versi fronti. Il movimento rivoluzionario messo in piedi da Fidel Castro si diffuse sempre più all’interno dell’isola coinvolgendo in maniera massiccia la popolazione rurale anche grazie all’impiego di una campagna ra- diofonica da me diretta. Guadagnammo sempre più consenso, sia nel contesto latinoamericano che sul piano internazionale. Nel 1958, Batista scatenò la sua offesiva, ma il ter- reno montagnoso non favoriva l’esercito regolare, minato da disorganizzazione e basso morale. Dopo molte battaglie, nell’agosto la colonna da me comandata sbaragliò gli attaccanti. Da lì in avanti, fu tutta una serie di successi, fino a quando il 2 gen- naio 1959 entrai all’Avana, seguito da Castro l’8. Liberata Cuba, nel governo che si costituì sotto la presidenza di Fidel Castro, ti furono poi asse- gnate responsabilità molto importanti. Il primo incarico fu «sporco»: responsabile della pri- gione dove erano tenuti i fedelissimi di Batista, quelli che si erano macchiati delle colpe più gravi. Poi, dopo essere stato direttore dell’Istituto Nazio- nale per la Riforma Agraria e della Banca Nazionale di Cuba, fui nominato ministro dell’Industria. Nella mia posizione girai mezzo mondo e cercai di aiutare movimenti rivoluzionari in diversi paesi. Poi, nel marzo 1965, di ritorno da un congresso ad Al- geri, mi ritirai completamente, rinunciando a tutti i miei incarichi. Mandai una lettera a Castro per spie- gare la mia decisione. Il motivo di questo suo allontanarsi da Cuba ri- mane misterioso. Si parla di pressioni dei sovietici per liberarsi di uno che ha troppe simpatie per i Ci- nesi, del fatto che Castro sia geloso della sua ram- pante popolarità, di irrequietezza insita nel Che e tanto altro. Nel 1965 lo troviamo nell’ex Congo Belga con una spedizione cubana fallimentare a sostegno dei ribelli Simba. Dopo quella, vaga in di- versi paesi e scrive libri. Nel 1967, coerente con i suoi ideali, il Che riparte per un’altra rivoluzione, quella boliviana, dove, in quell’impossibile ter- reno, viene tratto in agguato e ucciso dalle forze governative. Si è speculato sulla data esatta della sua morte, ma sembra certo che il Che fu assassi- nato l’otto ottobre di quell’anno. Diventato in seguito un vero e proprio mito laico, un martire dei «giusti ideali», Guevara ha indub- biamente rappresentato per i giovani di tutto il mondo, un simbolo dell’impegno politico rivoluzio- nario, purtroppo oggi sovente svilito a semplice gadget o icona da stampare sulle magliette. Cosa resta del mito del «Che» cinquant’anni dopo la sua morte? Perché questa icona del secolo No- vecento resiste ancora? Forse perché il «Che» rappresentò ideali di coe- renza, di purezza e di coraggio disinteressato, un eroe senza macchia per l’Olimpo dei «Miti», quelli che seppero offrire la loro vita per un ideale di giu- stizia e di uguaglianza. E poi perché gli eroi nel no- stro immaginario restano sempre giovani e belli, perché gli anni passano ma i sogni di coloro che lottano per un mondo più fraterno sono senza tempo e non tramontano mai. Don Mario Bandera
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