Missioni Consolata - Giugno 2018

MC R GIUGNO2018 MC 73 finché fin da piccolo mi affezionassi sempre più a mia mamma, la quale, ne convengo, ebbe un ruolo fondamentale nella mia formazione. Parlaci un po’ dell’influenza che ebbe tua mamma nella tua vita. Nel periodo che va dal 1936 al 1939, anni in cui si consumava la guerra civile di Spagna, con gli inevi- tabili strascichi di dolore e sofferenza sulla popola- zione, mia mamma, un’attivista politica e femmini- sta militante, atea e anticlericale, con molta pa- zienza mi aiutò a capire quale era la posta in gioco e quali erano le forze autoritarie che usavano le armi per negare al popolo spagnolo democrazia e libertà. È vero che eri un lettore accanito, praticamente «onnivoro»? Sì, è vero, leggevo di tutto. In modo particolare i saggi relativi alle problematiche dell’America Latina, di quella «Patria grande» sognata da tutti i padri della patria del sub continente latinoamericano, come Simon Bolivar, José de San Martin, Bernardo O’Higgins, Gervasio Artigas e da tutti i libertadores dei nostri popoli. Tu sei famoso anche per un mitico viaggio che hai fatto in moto, risalendo dall’Argentina at- traverso tutti i paesi dell’America Latina fino ad arrivare in Messico. In realtà ho fatto diversi viaggi attraverso il conti- nente. Il primo, nel 1950, insieme al mio amico Al- berto Granados, visitammo il Cile, il Perù, l’Ecuador, la Colombia e il Venezuela. Ero ancora studente. Nel viaggio fummo colpiti dalla situazione di povertà degli indigeni e dei minatori in molti paesi. Ve- nimmo anche a contatto con la realtà della lebbra e questo stimolò la nostra volontà di terminare gli studi e diventare medici. Così tornai a casa e mi lau- reai nel 1953 specializzandomi in allergologia. E cominciasti a lavorare come medico. No. Mi rimisi in viaggio e nella mia irrequieta ri- cerca, mentre maturavo un’avversione sempre più grande verso l’ingerenza nordamericana nell’Ame- rica Latina, visitai Bolivia e Perù, e poi su, verso i paesi dell’America Centale, fino in Guatemala dove venni a contatto con diversi esuli cubani e con colei che anni dopo divenne mia moglie, Hilda Gadea. Fu anche grazie a lei che fui stimolato a leggere e stu- diare molto per approfondire le mie idee filo marxi- ste. Abbandonato il Guatemala dopo il colpo di stato militare del giugno 1954, mi recai in Messico, dove sopravvissi facendo il cronista per i Giochi pa- namericani del 1955. A Città del Messico tornai a frequentare i molti esuli cubani che là avevano tro- vato rifugio. Se non vado errato fu proprio in quella città che conoscesti Fidel Castro. Fu una notte memorabile quella che passai con lui. Ovviamente ne avevo sentito molto parlare. Però non avevo una grande opinione di lui. Ma quella notte mi conquistò. E decisi di entrare a far parte del suo movimento, anche solo come medico. Quale movimento? L’ M-26-7 . Ma lascia che ti spieghi. Castro era un gio- vane avvocato cubano, diventato uno dei leader dell’opposizione nel suo paese. Dopo che, nel marzo del 1952, Fulgenzio Batista aveva assunto il potere con un colpo di stato, Fidel aveva cercato dapprima le vie legali per farlo condannare e ritor- nare alla democrazia, poi, fallite quelle, aveva fon- dato con diversi dissidenti un movimento per farlo cadere usando tutti i mezzi, anche la violenza. Avevano ottenuto risultati? Nessuno. Con gli amici del movimento aveva quindi organizzato un’azione dimostrativa cercando di coinvolgere gli universitari nell’assalto di una delle caserme simbolo del potere di Batista, la Caserma Moncada. L’attacco avvenne il 26 luglio 1953. Quello fu l’evento che segnò l’inizio della rivolu- zione cubana, tanto che la data dell’episodio fu poi adottata da Castro come nome del movimento che prese il potere nel 1959, M-26-7 o Movimento 26 de Julio . Ma sul piano militare fu un fallimento totale per l’improvvisazione, la faciloneria e la mancanza di armi adeguate. Il risultato fu la morte di oltre ses- santa compagni, l’imprigionamento di molti altri e l’arresto dello stesso Fidel Castro. Ma Fidel non restò in prigione a lungo. Fidel fu condannato a morte, nonostante la sua bril- lante arringa nella quale disse la famosa frase: «La storia mi assolverà». Nel frattempo il dittatore Bati- sta, su richiesta della Chiesa, aveva abolito la pena di morte, e la condanna fu commutata in 15 anni di reclusione nel penitenziario dell’Isola dei Pini. Nel 1955, su pressione di madri di prigionieri politici e di politici, editori e intellettuali, il Congresso cu- bano approvò un provvedimento di amnistia. I ri- belli e il loro leader furono rilasciati. Visto però che rischiava di essere di nuovo arre- stato, andò in esilio volontario in Messico, dove l’ho incontrato e mi sono appassionato alla sua causa. # A sinistra : il ritratto più noto del Che. | Qui : 1951, il Che prepara con gli amici la sua «Poderosa» per il primo viaggio attraverso l’America Latina. | Pagina seguente : altra foto ritratto del Che, considerato il «volto bello» della rivoluzione. © Centro-de-Estudios-Che-Guevara

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