Missioni Consolata - Giugno 2018

GIUGNO2018 MC 55 A A sinistra : l’avvocata Nancy Veronica Shibuya, responsabile del Caaap di Loreto, con l’apu kukama Rusbell Casternoque davanti alla sede dell’organizzazione a Iquitos. parlo non soltanto dell’Amazzonia peruviana, ma del- l’intera Amazzonia. Non sappiamo se, da qui a qualche anno, un ambiente come questo esisterà ancora». Quando non vince l’indifferenza, prevalgono fru- strazione e impotenza. Che si può fare? «Finché non sensibilizziamo ogni persona a rispettare l’ambiente circostante, poco o nulla possiamo fare. Certo, non dipende soltanto dal singolo individuo, ma dalla collettività nel suo insieme. E poi è necessario che lo stato assuma il suo ruolo a difesa dell’Amazzo- nia, delle risorse, dei popoli che vi vivono, esseri umani che meritano lo stesso rispetto che noi esigiamo». Che tipo di lavoro svolge il Caaap? «Il nostro lavoro con le comunità indigene è multidisci- plinare. Significa che esse ricevano non solo un’assi- stenza tecnica e legale, ma anche formativa». Esempi concreti di assistenza quali possono es- sere? «L’assistenza legale può riguardare i rapporti giuridici con le istituzioni dello stato, ad esempio sulle questioni legate alla terra. Quella tecnica per spiegare come fun- ziona qualcosa, ad esempio - per rimanere sull’attua- lità - il progetto di idrovia amazzonica. La formazione, infine, avviene con incontri e assemblee sulle temati- che più varie». Come scegliete le comunità presso cui operare? «Passando attraverso le organizzazioni indigene. Come Acodecospat ( Asociación cocama de desarrollo y conservación san Pablo de Tipishca ) di cui fanno parte 63 comunità kukama. O come Acimuna ( Asociación ci- vil de mujeres de Nauta ) che raggruppa donne kukama discriminate o maltrattate. O ancora come Oepiap ( Or- ganización de estudiantes de pueblos indígenas de la ama- zonía peruana ) in cui confluiscono studenti indigeni di varie etnie. Recentemente abbiamo iniziato a lavorare affiancando il Vicariato San José del Amazonas con le popolazioni indigene della conca del Putumayo. Ci sono Ocaina, Kichwa del Napo, Yaguas e Huitoto». Veronica, non esiste un pericolo di neocoloniali- smo? «Io credo che sia un problema sempre latente. Finché tutti i popoli indigeni non saranno consapevoli dei loro diritti esisterà questo pericolo». Come Caaap lavoratemolto con i Kukama. «Sì, perché qui è l’etnia più diffusa. Negli anni hanno perso la propria lingua, rimasta viva soltanto negli an- ziani. Oggi però lottiamo al loro fianco per un’educa- zione bilingue. Il Kukama vive in stretta connessione con il fiume. Il suo alimento principale è il pesce. Oggi però il Marañón, il fiume lungo il quale vive la maggior parte dei Kukama, è così inquinato che le autorità sta- tali hanno dichiarato che la sua acqua non è adatta al consumo umano e di conseguenza i pesci che in essa vivono. Dato che il Kukama è un grande consumatore di pesce, le conseguenze dell’inquinamento sono molto pesanti. Tra l’altro, in quanto uomini di pesca, le loro attività agricole sono sempre state limitate. Hanno piccoli ap- pezzamenti di terreno coltivati a riso, juca e platano». Da tempo si assiste a unamigrazione dalle comu- nità indigene sparse nella foresta amazzonica verso le città come Iquitos. Come lo spiega? «La migrazione dei popoli indigeni verso la città è do- vuta all’abbandono da parte dello stato. Ci sono ca- renze molto gravi. Pensiamo al diritto alla salute. Le comunità indigene non hanno centri di salute. Non ci sono opportunità di lavoro per gli adulti e d’istruzione per i figli. Le persone emigrano per cercare di soddi- sfare necessità fondamentali». Chi emigra in città trova un’esistenza diversa e soprattutto altri problemi. «Chiaro che c’è differenza tra gli indigeni che vivono nelle comunità e quelli che sono venuti a vivere in città. Nelle comunità c’è una totale di libertà di espres- sione, in città non è così. Nelle comunità un indigeno sta in contatto permanente con la natura e le sue ri- sorse. È circondato dalla famiglia e ci sono vincoli stretti tra gli uni e gli altri. Venendo in città, la mag- gior parte degli indigeni si lascia influenzare dalla cul- tura occidentale. Si ritrova in balia di situazioni che spingono gli indigeni a negare la propria identità cultu- rale. La negano per l’obiettivo di essere accettati in de- terminati ambiti sociali. La realtà racconta però che la maggioranza degli abitanti è indigena. Se poi glielo chiedi, ti risponderanno: “No, io sono della città”, “No, io vivo a Iquitos”, “No, io sono di Iquitos”». Mi ha detto che voi lavorate anche con un’orga- nizzazione di studenti indigeni. Per qualemotivo? «Nelle comunità i giovani indigeni non hanno la possi- bilità di avere un’educazione superiore. Quando alcuni di loro vengono in città ed entrano in un istituto supe- riore, per essere accettati, negano da dove vengono o chi sono. Anche se l’aspetto fisico o il nome dicono molto, loro continuano a negare. È una lotta costante contro la discriminazione. Noi come associazione li sosteniamo per rafforzare il loro lato identitario, perché non perdano il senso della loro provenienza e il loro essere. Un esempio. Al contrario dei Kukama, gli Awajún (o Aguaruna della famiglia lin- guistica jíbaro, ndr ) continuano a sviluppare la propria lingua. Eppure, in ambito scolastico o lavorativo an- ch’essi in generale negano la loro identità». Voi siete un’istituzione della Chiesa cattolica. In più occasioni papa Francesco ha chiesto perdono per gli errori commessi nei confronti dei popoli indigeni. «Storicamente, nel processo di evangelizzazione la Chiesa ha commesso molti errori. Ha avuto un atteg- giamento impositivo che ha causato molti danni. È stato chiesto perdono. Oggi il volto della Chiesa è cam- biato: è una chiesa itinerante, più vicina ai popoli e ai deboli. E il Caaap ne è un esempio concreto». PaoloMoiola MC #

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