Missioni Consolata - Giugno 2018
giamenti che trasportano il soggetto postmoderno “al di fuori di sé” nell’at- timo di un incontro» 7 . La fede chiamata a ricomprendersi L’ Ecclesia in Asia lo ha detto chiaramente al n. 23: «Un fuoco non può es- sere acceso che mediante qualcosa che sia esso stesso infiammato». Non sentiamo qui riecheg- giare le parole del nostro fondatore il beato Giu- seppe Allamano? Do- vremmo forse fermarci a considerare più a lungo il suo insegnamento: la sua è una vera e propria «mi- stica dell’annuncio mis- sionario», come l’ha svi- scerata e portata in luce il troppo poco conosciuto studio del domenicano padre Ceslao Pera 8 . L’originalità di una missione veramente ad gentes è anche questa: il missionario vive in un ambiente privo di riferimenti (almeno espliciti) al Cristiane- simo. L’impegno per comprendere e decifrare tale ambiente apporta conoscenze nuove, fa scoprire modi altri di vedere la vita e la relazione con il di- vino e, dunque, provoca la fede a una ricompren- sione radicale di se stessa. Il dialogo diventa allora una scuola di studio e di riflessione che, oltre ad arricchire il missionario di conoscenze su altre tradizioni, l’aiuta a dischiu- dere la profondità del mistero cristiano in un modo forse più determinante di quanto non av- venga all’interno di una società «cristiana». Paura, presunzione, evasione L’aveva capito molto bene san Francesco Saverio nel XVI secolo: nelle sue lettere rivolte a chi lo avrebbe seguito in India e in Giappone egli insi- steva molto sulla virtù apostolica dell’umiltà inte- riore. In una lettera del 1549 da Kagoshima (Giap- pone) avvisava i candidati alla missione asiatica che avrebbero dovuto affrontare una triplice ten- tazione: il pericolo della paura, il rischio della pre- sunzione e la possibilità di evasione dal reale. L’impatto con culture, religioni, società, situazioni ambientali e umane così altre mette paura, pro- voca un inaspettato contatto con la parte più fra- gile di noi stessi. Ecco allora il primo grande van- taggio: dalle ceneri del nostro io andato in fran- tumi può nascere una nuova fiducia in Dio: «Vi scongiuro pertanto, in tutte le vostre cose fonda- tevi totalmente in Dio, senza confidare nel vostro potere o sapere od opinione umana» 9 . La seconda tentazione è quella della presunzione: a volte, il missionario è tentato di giudicare le cose non a partire dal Vangelo, ma dai propri riferimenti culturali, rasentando il complesso di superiorità. Il contatto con le ricche tradizioni asiatiche può stemperare questo ri- schio: «Credetemi, voi che verrete in questo paese, avrete l’occasione di provare quanto valete. Per quanta diligenza voi mettiate per guadagnare ed ottenere molte virtù, siate certi che non ne avrete mai abba- stanza» 10 . Anche questa è una grazia. Ma c’è una terza prova a cui i missionari sono sot- toposti in Asia: il rischio di evadere continua- mente dalle sfide del quo- tidiano rifugiandosi in una realtà creata da loro stessi. Oggi, con l’aiuto di social network e nuove tecnologie, rischiamo di essere fisicamente in un posto e col cuore in un al- tro: «Stanno nelle Indie, ma vivono col desiderio in Portogallo» 11 . Anche in questo caso l’unica me- dicina è l’umiltà di affidarsi a Dio in quel presente che magari vorremmo diverso, ma che è l’unico orizzonte in cui possiamo davvero incontrare il Si- gnore. Missionari come «paralitici guariti» Mettendo in guardia i suoi confratelli gesuiti, san Francesco li conduce al cuore dell’esperienza apo- stolica. Lo stesso fa papa Francesco quando ci dice che siamo testimoni del Risorto in mezzo ai popoli proprio perché abbiamo toccato con mano la nostra povertà e l’abbiamo consegnata a Lui, confidando nella sua misericordia. Siamo «parali- tici guariti». Questa fiducia ci abilita a chinarci sulle ferite del prossimo per versarvi l’olio della consolazione. È questa l’esperienza fontale dell’a- D 48 MC GIUGNO2018 D
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