Missioni Consolata - Giugno 2018
D VANGELO IN ASIA dono e coltivata come scelta d’intimità, preghiera, dialogo vitale. Noi missionari siamo chiamati a sussurrare al cuore di Dio e a lasciare che Colui che ci manda a essere sue epifanie presso i popoli asiatici sussurri al nostro cuore. Siamo chiamati a metterci in relazione con le persone alle quali siamo inviati, alla vicinanza, all’immersione nel loro mondo. Due persone si sussurrano a vicenda qualcosa solo quando sono in confidenza. Non si sussurra all’orecchio del primo che capita. E quello che si comunica nel sussurro è qualcosa di profondo, di vitale, che esige un certo pudore, un’aura di mi- stero, oltre che di rispetto. Da quando mons. Menamparampil ha usato quest’espressione, essa è rimasta impressa in molti. Alcuni gli hanno fatto notare che suonava come una posizione troppo timida, quasi in con- trasto con il coraggio che proprio in quegli anni Giovanni Paolo II chiedeva alla chiesa missiona- ria. In realtà l’espressione non invita al timore o al calcolo («se sussurriamo forse evitiamo con- flitti»), ma alla necessità di mettere al centro dello stile missionario prossimità, fiducia e profondità. Non sono forse questi gli strumenti con cui il Si- gnore introdusse progressivamente i suoi amici al mistero della sua persona? Vengono in mente le scene dell’incontro di Gesù con la samaritana, con Nicodemo e, soprattutto, con i discepoli al cena- colo. Gesù si consegna ai suoi, versa il suo cuore proprio nel contesto di un incontro intimo, che an- ticipa il suo sacrificio. Dire a voce bassa in modo personale Il verbo «sussurrare» è evocativo già nella sua pronuncia: è musicale, produce un suono leggero e gradevole per l’orecchio. Ha il significato di «dire a voce bassa e sommessa, perché senta solo chi è vicino, o la persona a cui ci si rivolge» 3 . Esso indica, quindi, una modalità di comunicazione personale, che avviene nell’ambito di una rela- zione di amicizia, confidenzialità e sintonia, in un clima di empatia, discrezione e pacatezza. Torna alla mente l’immagine del servo del Signore che «non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce» (Is 42,2), scelta da Gesù per descrivere il suo ministero (cfr. Mt 12). In Asia ci sono insegnamenti sacri nelle sue nu- merose tradizioni religiose che vanno trasmessi in confidenzialità: i sutra, ad esempio, ma anche i mantra, parole sacre recitate spesso sottovoce. Così la Parola evangelica: per la sua qualità di es- sere allo stesso tempo rivelata e ineffabile, perché appartenente a Dio Altissimo, rifugge i toni chias- sosi e gli slogan. Pensiamo a colui che è padre di noi missionari della Consolata nella sequela e nella missione, il beato Giuseppe Allamano, e alla sua attenzione alla persona, alla sua riservatezza, al suo stile discreto. La consegna della Parola sembra più adeguata quando a sussurrarla sono persone diventate segno di quel mistero che essa significa e a cui rimanda. L’Asia dona la preghiera alla missione La missione in Asia ci spinge oggi a riaprirci a di- mensioni che forse non eravamo più abituati a considerare come specifiche della nostra voca- zione. Una di esse è la preghiera. Normalmente, infatti, si associa alla missione prima di tutto l’i- dea della promozione umana, della lotta alla po- vertà, all’ingiustizia. C’è stato un tempo in cui lo slancio per le grandi cause dell’umanità ci aveva quasi fatto mettere da parte la preghiera, conside- rata una caratteristica adatta più ai contemplativi che a noi. «Noi - si diceva - siamo missionari, quindi…». Quindi? Pensiamo veramente che la missione sia esclusivamente un «fare»? E cos’è che davvero qualifica il nostro fare? La preghiera è solo una sorta di dovere da adempiere per es- sere dei bravi missionari, ma che «accadrebbe» separatamente dalla missione? Prima o dopo, ma non contemporaneamente? Devo a tutti i costi «fare qualcosa» per sentirmi missionario o posso prendermi del tempo per capire quali siano le «cose» più richieste dalla realtà in cui vivo? Non esiste un solo modo di essere missionari; è in- vece importante che le nostre scelte siano in piena sintonia con il carisma del Beato Allamano. Non si tratta di rinunciare all’azione per ritirarsi in una contemplazione staccata dalla realtà, ma di
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