Missioni Consolata - Giugno 2018

38 MC GIUGNO2018 D D propri valori religiosi e culturali tipici, come ad esempio l’amore per il silenzio e la contemplazione, la semplicità, l’armonia, il distacco, la non violenza, lo spirito di duro lavoro, di disciplina, di vita fru- gale, la sete di conoscenza e di ricerca filosofica. Essi hanno cari i valori del rispetto per la vita, della compassione per ogni essere vivente, della vici- nanza alla natura, del filiale rispetto per i genitori, per gli anziani e per gli antenati, ed un senso della comunità altamente sviluppato. In modo tutto par- ticolare, considerano la famiglia come una sorgente vitale di forza, come una comunità strettamente in- trecciata, che possiede un forte senso della solida- rietà. I popoli dell’Asia sono conosciuti per il loro spirito di tolleranza religiosa e di coesistenza paci- fica». Più avanti il testo chiama in causa «un innato intuito spirituale e una saggezza morale tipica dell’animo asiatico, che costituisce il nucleo attorno al quale si edifica una crescente coscienza di “es- sere abitante dell’Asia”». Entrare in questo «intuito spirituale» è di fonda- mentale importanza per noi missionari. Thomas Menamparampil, arcivescovo emerito di Guwahati (India), asiatico ed esperto del settore, con una vi- sione d’insieme ampia e allo stesso tempo detta- gliata della vita religiosa del suo continente, ne pro- pone quattro caratteristiche peculiari: il senso del sacro; l’intensità della ricerca di Dio e del divino; la semplicità di vita; l’aspirazione a propagare gli in- segnamenti religiosi. Il senso del sacro Il sacro e il divino fanno parte essenziale della psi- cologia collettiva asiatica. In molte parti del conti- nente, i ritmi del vivere comune sono ancora oggi scanditi dalle pratiche religiose di svariate tradi- zioni (Induismo, Buddhismo, Islam, Giainismo, Taoismo, Shintoismo e altre ancora), senza che questo rappresenti in sé una stravaganza o una mi- naccia alla società regolata dai governi statali. In alcuni paesi, anzi, sono tutt’ora in vigore forme di governo intimamente associate al potere religioso. In ogni caso, il sacro è qualcosa che non si discute neanche, perché appartiene all’evidenza del vis- suto. Altrove l’impatto con la modernità di stampo occi- dentale ha cambiato radicalmente l’atmosfera, im- ponendo stili e ritmi più secolari e apparentemente neutrali rispetto al dato religioso. Ma anche in tali contesti il riferimento religioso fondamentale resta un dato indiscusso, magari più relegato alla sfera privata, ma mai dimenticato o trascurabile. In Asia di solito non ci s’imbatte nell’affermazione «Dio è morto», bensì nella domanda «Quale Dio seguire?». Intensa ricerca di Dio e del divino C’è un’aspettativa nel cuore di chi appartiene alle tradizioni religiose dell’Asia: il maestro, a qualun- que gruppo appartenga, deve essere capace di indi- care Dio, di parlare di lui e del suo piano per il bene del suo popolo. Questa è l’area in cui le persone reli- giose sono chiamate a essere competenti. Il misticismo non è la scelta di una élite, ma una di- mensione della vita che, se non tutti possono prati- care (in molte tradizioni è riservata ai monaci), ap- partiene comunque all’immaginario collettivo come ideale da raggiungere. Un’altra parola chiave della religiosità orientale è profondità. Una proposta spirituale che mancasse di questo carattere, apparirebbe inaffidabile, ingan- nevole. Profondo è ciò su cui si può costruire, ciò che sostiene anche se non si vede, è ciò che resta quando finiscono le parole; ciò che s’intuisce du- rante una cerimonia sacra o nell’armonia dell’arte religiosa; ciò che dura nel tempo, perché ha già at- traversato tante generazioni e si è sedimentato in una letteratura, in testi sacri da maneggiare con ri- spetto. Il passo dalla profondità alla preghiera è molto breve, anzi spontaneo. Preghiera e devozione sono un altro aspetto della medesima ricerca di Dio e del divino che in Asia ha prodotto esperienze tra le più ricche. La dimensione della preghiera, del culto e dei riti non si è mai offuscata (come invece è suc- cesso in Occidente), ha conosciuto un percorso sto- rico in cui è rimasta viva e articolata. Pregare è la norma, non l’eccezione. Non va giustificata la pre- ghiera, semmai va spiegata la sua originalità che la distingue da quella praticata in un’altra religione. In ogni caso l’esperienza di preghiera appartiene al cuore del cammino spirituale e costituisce il conte- sto più adatto alla comprensione e diffusione del messaggio religioso. Un aspetto strettamente colle- gato alla dimensione orante della vita è la ricerca di solitudine, di raccoglimento. In tutte le forme reli- giose sviluppatesi in Asia esiste un anelito all’inti- mità con il divino che solo una certa dose di isola-

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