Missioni Consolata - Giugno 2018
comunione, può essere necessario, distaccarsi. Egli purifica la propria coscienza e i criteri di valutazione per scoprire se stesso e capire il suo futuro. Pregare - ormai lo ripetiamo come un ritornello re- sponsoriale - è illimpidirsi lo sguardo per vedere dove gli altri sanno solo gettare distrattamente uno sguardo superficiale. «Starci» ha un solo significato - anche questo lo abbiamo detto e ridetto - è per- dere tempo per e con la persona amata: Gesù ne perde tanto di tempo con il Padre. Non agisce per dovere o per bisogno, solo l’amore lo guida, lo nu- tre, lo brucia e lo consuma come una candela che si lascia ardere, come il roveto della Presenza del Si- nai (Es 3,2). Se non fosse così, potrebbe forse dire «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30)? Non potrebbe, non oserebbe. Gesù fa sua la fatica di Mosè e il suo anelito di pastore e guida e ne rivive la missione. Mosè sta sempre davanti a Dio fino a diventare così raggiante da doversi coprire il volto (cfr. Es 34,29-35). Egli, infatti, sale sempre «verso il monte del Signore» (Es 19,3; 24,18,34,4) per porsi come intermediario. Per andare a Gerusalemme Gesù sosterà al monte della trasfigurazione, dove avrà come testimoni qualificati Mosè ed Elìa: il Lògos che è dal principio (cfr. Gv 1,1; cfr. Pr 8,22-31) è garantito da tutta la Toràh (Mosè) e da tutti i Profeti (Elia), cioè da tutta la Scrittura del popolo eletto. Pregare per Mosè e per Gesù è essere strabici: un occhio al cielo e uno alla terra. Davanti a Dio implorare il perdono per il popolo e davanti al popolo spronandolo a salire sempre più in alto. Da una parte sprona il popolo, dall’altra «costringe» Dio a essere Dio, cioè per- dono (Es 32,30-31). 5ª regola della preghiera Dopo la preghiera personale, Gesù ritorna alla vita dei discepoli che è agitata da un vento contrario (cfr. Mt 14,24) e in piena notte. La preghiera non è alie- nazione e astrazione dalla vita, perché sarebbe astra- zione dall’umano, l’unico ambito dove possiamo in- contrare Dio. La preghiera è una cattedra per impa- rare a trasformare la vita in dono orante, vivendola fino in fondo affrontandone anche gli aspetti nega- tivi e pericolosi. Chi non sa pregare da solo, non sa pregare in comunità e chi non sa pregare ekklesial- mente non è capace di pregare da solo, perché i due aspetti sono complementari ed essenziali. 6ª regola della preghiera Dopo la preghiera, Gesù si manifesta ai suoi presen- tandosi come il Dio d’Israele che domina le acque. La preghiera ci rende partecipi della natura di Dio e ci fa assomigliare a lui anche nel compiere miracoli (cfr. At 3,2-16). Chi prega può camminare sulle ac- que e dominare il male che esso rappresenta perché non agisce in forza di strani poteri magici, ma in co- munione con il Dio che ha creato il cielo e la terra e con il Figlio che ha redento il mondo e con lo Spirito Santo che lo santifica. Stare nel mondo assumendo la natura di Dio: è questo il compito supremo della preghiera cristiana. Non è un caso che noi iniziamo l’Eucaristia con la preghiera, databile sec. IV, che dice coralmente: «Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa» che è il cuore dell’atteggia- mento orante. Cinque azioni o identità per un solo scopo: la gloria di Dio, che non significa l’onore e il rispetto della divinità onnipotente, ma solo inne- starsi nella gloria ebraica, la « Kabòd - peso» di Dio, cioè la sua natura, la sua consistenza, la sua stabi- lità, in una parola, la sua Persona. B isognerebbe aggiungere la 7ª regola della preghiera , cui altre volte abbiamo accennato e descritta molto bene dal Targùm al Cantico dei Cantici dove il giovane amante cerca di vedere il volto dell’innamorata: «Colomba mia! Nelle spaccature della roccia , nel nascondiglio del dirupo, fammi vedere il tuo volto , fammi udire la tua voce! Perché la tua voce è soave, e bello il tuo volto» (Ct 2,14). Il Targùm proclamato in sinagoga al tempo di Gesù commenta questo testo del Cantico: «Subito, allora, essa [l’Assemblea d’Israele] aprì la sua bocca in preghiera davanti al Signore (Es 14,10); e uscì una voce dai cieli dell’alto, che disse così: Tu, Assem- blea d’Israele, che sei come colomba pura, nascosta nella chiusura di una spaccatura di roccia e nei na- scondigli dei dirupi , fammi udire la tua voce (cfr. Esodo Rabba XXI, 5 e Cantico Rabba II, 30). Perché la tua voce è soave quando preghi nel santuario, e bello è il tuo volto nelle opere buone» (cfr. Mekilta Es 14,13). Al desiderio dell’innamorato di vedere il volto della sposa, il Targùm con un’arditezza straordinaria fa rispondere Dio che esprime un desiderio strug- gente: è lui stesso, che vuole contemplare il volto di chi prega, ribaltando i ruoli. Non è più l’orante che desidera vedere Dio, ora è Dio che vuole contem- plare - ha bisogno di contemplare - il volto della sposa/assemblea d’Israele/Chiesa quando prega. Nella preghiera si consuma la sola conoscenza spe- rimentale possibile, pura estasi e contemplazione: l’ amore, perché quando noi preghiamo è Dio che contempla noi e arde del desiderio di vedere il no- stro volto. Sul contenuto di essa ci siamo soffermati ampiamente in MC giugno 2017, in cui descriviamo anche come, secondo la tradizione giudaica, Dio si presenta a Mosè sul monte Sinai, vestito con il mantello della preghiera ( tallìt ) per insegnare me- glio a lui e agli Israeliti le regole della preghiera. Da quanto abbiamo esposto, per quello che con- cerne la preghiera, dobbiamo cambiare radical- mente e capovolgere la nostra prospettiva e men- talità. Crescere vuol dire anche cambiare passo e direzione, con umiltà e desiderio di «crescere in sa- pienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Se questa fu la regola cui si sottopose il Si- gnore, se vogliamo imitarlo, deve essere la regola minima anche per la nostra vita. In fondo, a noi im- porta solo sprofondare sempre più nell’intimità con lui per la durata e la lunghezza di tutta la nostra vita e anche oltre. Paolo Farinella, prete [La Preghiera, continua-15] 34 MC GIUGNO 2018 Insegnaci a pregare
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