Missioni Consolata - Giugno 2018
MC R © Benedetto Bellesi / paesaggio roccioso del Sinai Per un approccio semplice, non specialistico , e facil- mente reperibile: • Carlo Maria Martini, Non date riposo a Dio. Il pri- mato della Parola nella Chiesa , Edizioni Dehoniane, Bologna 2012. • Paolo Squizzato, Ancor meglio tacendo. La pre- ghiera cristiana [sintesi a mo’ di slogan della tradi- zione] , Effatà Editrice, Cantalupa (To) 2016. • Monica Cornali, Le mie lotte con l’angelo. Eleva- zioni spirituali [la vita di ogni giorno immersa in Dio] , Effatà Editrice, Cantalupa (To) 2017. Per un prontuario di preghiere del primo millennio, dalla Bibbia al sec. XI, testi greci e latini con traduzione a fronte, cfr. Salvatore Pricocco - Manlio Simonetti, La preghiera dei cristiani , Fondazione Lorenzo Valla /Ar- noldo Mondadori Editore, Roma 2000. 3ª regola della preghiera Non basta «salire», bisogna salire «sul Monte» per- ché Dio non sta mai in pianura, ma si manifesta sempre su un monte. Quando si prega è necessario, anzi indispensabile sapere dove si è, come si è, verso dove si va ed eventualmente anche che cosa si chiede. Sant’Ignazio di Loyola insegna che chi prega deve sapere quello che chiede. Pregare non è dire parole o sentimenti a caso, ma avere le idee chiare e cuore intenso sulla propria condizione, sulle proprie necessità, sulle proprie richieste. Dio non è una chiavetta dove ciascuno apre il file che vuole e quando vuole. Come abbiamo appena detto sopra, nella 2a regola, più alto è il monte più largo è l’orizzonte, più ampia la visione e la capacità di «vedere». Quello che a valle è striminzito, dalla cima del monte appare come è: un orizzonte moz- zafiato, a perdita d’occhio che impone alla vista un contesto e un’armonia maggiori. Succede spesso che nella preghiera bisogni, necessità, progetti, prospettive, dolore, paura, sentimenti, cuore, limiti e sconfitte acquistano una nuova dimensione, cam- biano perché il cuore e l’a- nima s’illuminano e ve- dono in modo nuovo, dopo avere sperimentato «collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista» (Ap 13,18). 4ª regola della preghiera Non basta salire sul monte, occorre anche «starci»; non si tratta infatti di una gita in montagna che si esaurisce con la fatica della salita e un breve spun- tino in cima, godendo il panorama di straordinaria bellezza per ridiscendere anche in fretta al piano, magari per timore di piogge o valanghe. Qui si tratta di uno «stato» permanente di frequentazione. La montagna è la parabola che deve animare ogni no- stro agire e progetto: tutto deve convergere verso l’alto, cioè verso la pienezza della propria realizza- zione che può attuarsi solo stando con Dio e assapo- randone la Shekinàh /Dimora/Presenza. Bisogna avere la coscienza di essere «sacramento» dei po- poli che aspirano a salire il monte del Signore (Is 2,1-5). Nel «luogo» dove è Dio, bisogna andarci da «soli» e restarci a lungo: «Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù» (Mt 14,23b), immerso nel rapporto personale col Padre, nel silenzio dell’As- senza di Dio, nell’aridità del deserto circostante. Stare «da solo» per Gesù non significa essere isolato o peggio ancora solitario. Egli non ha abbandonato i discepoli, ma li ha messi al sicuro dalla folla improv- visata e senza identità. Sperimentato il fallimento delle folle, Gesù prende coscienza che deve lasciare una strada e intraprenderne una nuova. Davanti a un bivio sa perfettamente che i discepoli, facili al- l’entusiasmo del successo, possono impedirgli l’im- mersione nella verità di sé. A volte per realizzare la
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