Missioni Consolata - Giugno 2018

Pazienza e missione A ll’inizio di maggio, il 4, parlando a braccio a «frati e suore» riuniti in un convegno interna- zionale di Istituti di vita consacrata e di Società di vita apostolica, Francesco, nostro amato papa, ha condiviso con loro la logica delle «tre p»: «Queste sono colonne che rimangono, che sono permanenti nella vita consacrata. La preghiera , la povertà e la pazienza ». Il nostro superiore ha invitato i miei confratelli e me a leggere e meditare quel discorso soprattutto perché tra fine maggio e inizio giugno ci incontriamo per una settimana allo scopo di decidere il no- stro piano d’azione per i prossimi anni qui in Italia. Un’impresa non facile tenendo conto delle nostre forze, della nostra età e di questo nostro tempo tutt’altro che entusiasticamente cristiano. Non entro nel merito della «p come preghiera», anche se è la chiave di volta di tutto (è il «prima santi» del nostro beato Allamano). Sulla «p come povertà» noto che la «povertà» che pesa di più è l’invecchiamento generale del nostro istituto in Italia e la mancanza di ricambio generazionale. Ve- dersi invecchiare senza avere qualcuno a cui passare il testimone è la cosa che pesa di più e scon- volge. Tutti noi, tanti anni fa, siamo partiti da una Chiesa italiana vibrante e piena di vitalità per an- dare ai quattro angoli del mondo dove abbiamo sperimentato la gioia dell’annuncio del Vangelo, af- fascinati e meravigliati dall’incredibile azione dello Spirito nei posti più remoti e improbabili. Siamo rientrati, spesso perché acciaccati, in Italia e abbiamo trovato seminari chiusi, parrocchie accorpate e chiese vuote in un paese dove edifici e opere cristiane diventano reperti da Ministero dei Beni cul- turali e l’essere e il pensare cristiani tendono a essere sempre più relegati nel più stretto ambito pri- vato e le tradizioni cristiane sono o fagocitate dalla logica del mercato (vedi Natale) o addirittura im- pedite nella loro manifestazione pubblica in nome del pluralismo. Uno shock tremento, da indurre a chiedere a noi stessi: «Ma abbiamo sbagliato tutto»? Se non fosse che il sistema sanitario italiano - a dispetto delle molte critiche che si fanno - è tra i migliori, la tentazione sarebbe quella di abbando- nare il paese e andare a morire là dove abbiamo lasciato il nostro cuore e ci sono tanti giovani mis- sionari che hanno voglia di partire verso le frontiere più remote del mondo. U n passaggio del discorso di Francesco mi ha colpito: quello del «p come pazienza», soprat- tutto laddove il papa sottolinea che la pazienza va mano nella mano con la speranza. Tutt’altro che rassegnazione e tristezza, quindi. Tutt’altro che arrendersi all’ineluttabile. La pazienza, alimentata dalla speranza, è forza per costruire il futuro. Non solo, è soprattutto capacità di vedere che il futuro si sta costruendo nonostante le nostre debolezze e contraddizioni, perché c’è Qualcuno che lo crea in modo imprevedibile e sorprendente. In sé, il papa non ha detto niente di nuovo. Questo tipo di pazienza è radicato nella tradizione cri- stiana. Noi preti e missionari dovremmo saperlo bene. Eppure, almeno per me, le parole di France- sco hanno avuto un sapore nuovo e quanto mai attuale. Suonano come un campanello d’allarme e una provocazione per noi missionari italiani tentati dalla rassegnazione e paghi di prepararsi a mo- rire bene e nel modo più dignitoso possibile. Non abbiamo bisogno del «sopportare pazientemente le avversità» ma della vera pazienza che ci fa vivere guardando in avanti, sapendo che «sia che dor- miamo, sia che vegliamo» il seme cresce da solo e porta frutto, e che Dio dà agli «Abramo e Sara» di ieri, di oggi e di sempre il figlio atteso anche se ormai vecchi, sterili e anche increduli. Per noi missionari italiani - mi permetto di generalizzare perché la realtà dell’invecchiamento e della mancanza di giovani italiani tra i nostri ranghi è un fatto che riguarda un po’ tutti gli istituti maschili e femminili - vivere questo tipo di «pazienza che è speranza» è l’ultima frontiera della missione. È un dovere di fedeltà e riconoscenza verso Colui che ci ha mandato e verso tutte le persone che abbiamo amato e continuiamo ad amare anche «ai confini» della terra. È un atto di amore e fedeltà nei con- fronti di tutti quelli che hanno dato e danno la loro vita per un mondo più giusto e più bello come monsignor Oscar Romero, suor Leonella Sgorbati, abbé Albert Tongiumale-Baba in Centrafrica, don Juan Miguel Contreras Garcia in Messico, don Mark Ventura nelle Filippine, Asia Bibi prigioniera in Pakistan, i migranti affogati nel Mediterrano. La pazienza, poi, è un modo di essere di cui siamo debitori soprattutto a chi ha perso la speranza, in- gannato dalle false promesse di un mondo edonista e materialista che copre i suoi fallimenti con fake dreams e fake news . E agli anziani abbandonati alla solitudine, ai giovani senza lavoro, ai nuovi poveri, alle famiglie disgregate, a chi è abortito. Vivere con pazienza, in forza della debolezza, fragi- lità e povertà vissute sulla propria pelle, diventa davvero un proclamare la «buona notizia» che la Vita è più forte della morte, l’Amore vince tutto e la Bellezza non tramonta mai. È continuare a es- sere testimoni della Pasqua del Signore, oggi. EDITORIALE Ai lettori GIUGNO2018 MC 3 di Gigi Anataloni

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