Missioni Consolata - Giugno 2018

GIUGNO2018 MC 19 loro qualche parola. Il vecchio Kh- der ha trovato un quaderno con la copertina verde, consunta, le pa- gine ingiallite. Deve essere un ri- masuglio, magari una donazione, chissà. Lì sopra scriviamo tutte le parole che possono essergli utili. Coperta, freddo, malato, scarpe. Imparare tutto da capo a ses- sant’anni, non comprendere nulla di tutto ciò che ti sta intorno. Un alfabeto diverso, incomprensibile, un luogo dove sembra che a nes- suno importi della tua sorte. Per- ché poi per i curdi è anche peggio che per tutti gli altri: iracheni e af- ghani e siriani con loro non par- lano. Un ragazzo, quando gli chiedo di aiutarmi con quella fa- miglia, dicendogli che ho bisogno di qualcuno che traduca, mi ri- sponde: «Curdi?» e sputa per terra, indicandomi il fango. Fug- gire da casa propria, dove sei odiato, e piombare in un altro in- ferno, dove ugualmente sei messo da parte, ghettizzato o in alternativa, ignorato. È solo grazie a un mediatore cul- turale della clinica mobile di Me- dici senza frontiere che riesco a trovare il modo di aiutare questa famiglia: Mayhar, diciannove anni, rifugiato afghano, arrivato su un gommone due anni fa, oggi è un membro dello staff dell’Ong internazionale. È lui che ci fa da tramite. Riusciamo così a portare i bimbi alla clinica mobile, sco- priamo che Soma è affetta da anemia. Se ne prenderanno cura qui. La clinica ogni sera va smontata e portata via, perché provare a dare una mano assume a volte con- torni inquietanti. I proprietari delle terre adiacenti infatti, per lo più contadini che qui hanno i loro uliveti, temevano che la struttura potesse trasformarsi in un altro accampamento. Non è vero, ov- viamente, la clinica funziona solo di giorno e il grande tendone cen- trale, accanto ai camion che con- tengono gli studi medici, serve solo come sala d’aspetto. Alcune panchine, una saletta appartata per le donne che allattano e dei giochi, per intrattenere i bambini. Medici senza frontiere per poter continuare a operare, ha preso accordi con i proprietari delle terre limitrofe. Così ogni sera e ogni mattina, in poco più di mezz’ora, la clinica viene allestita e poi smontata. Un hammam miraggio A Moria la solidarietà pare non esistere. Almeno, non da parte di chi dovrebbe garantirla. Sono piuttosto le persone comuni, o al- cune Ong, che lavorano fuori dal campo. Non appoggiando le poli- tiche adottate dal governo greco, che cercano di tamponare come e dove possono. Barham, la sorella della piccola Bahar, mi mostra le sue foto di quando viveva in Kurdistan. Venti- tré anni, gli occhi grandi e i capelli neri, folti: è bella questa ragazza, bellissima. « Moria no good », que- sto sa dirmi in inglese, e gli occhi le si velano. A gesti mi fa capire che non riesce a lavarsi da setti- mane. Procuro loro delle salviette umidificate e dello shampoo secco. Facendo domande, scopro però che a Mytilini una donna, una spa- gnola che lavora per Sao Associa- tion, una Ong tedesca, ha tentato una grossa impresa: ha messo in piedi un hammam gratuito per le donne che vivono a Moria. Si chiama «Bashira» e offre la possi- bilità alle donne di avere un ba- gno tutto per sé per trenta minuti. Ogni giorno la coda fuori da Ba- shira è lunghissima: si snoda lungo la stretta via che dal mare: Porta a questo vicolo incuneato fra le vecchie case del porto di Mytilini. Un vociare allegro, mariti che tengono per mano i bimbi in attesa che la loro moglie possa concedersi un attimo di pace. Per MC A

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