Missioni Consolata - Maggio 2018
MC R Proprio così! A quel tempo avevo 19 anni e avevo tanta voglia di correre che quando Pagliani passò vi- cino alla bottega dove lavoravo, mi misi a correre dietro a lui senza nemmeno togliermi il grembiule da pasticciere e riuscendo, nonostante ciò, a stargli incollato fino alla fine della gara. I dirigenti della società sportiva «La Patria» constatando le tue qualità atletiche, ti spinsero a iscriverti a diverse gare podistiche regionali e nazionali contribuendo così a farti conoscere da un numero sempre più ampio di sportivi… Dicevano che «avevo talento». A furia di ripeterlo a ogni manifestazione sportiva facendomi un sacco di pubblicità, in pochi anni divenne chiaro a tutti che in Italia se c’era qualcuno da battere nella corsa sulle di- stanze dai 5 ai 40 chilometri, quello ero io. A quel punto si aprì anche il palcoscenico inter- nazionale. Infatti non ci fu molto da aspettare. Nel 1905 vinsi la 30 km di Parigi con un distacco di sei minuti sul secondo classificato; nel 1906 vinsi la maratona che mi qualificò ai giochi olimpici intermedi di Atene; nel 1907 stabilii il primato nazionale italiano dei cin- quemila metri e vinsi il titolo nazionale anche sulla distanza dei venti chilometri. La tua carriera come atleta podista continuò con una serie impressionante di vittorie che la- sciò sbalordita l’Italia intera. Quello fu un momento molto fruttuoso nella mia vita sportiva, oltre alle vittorie già ricordate, nel 1908, mi qualificai per le Olimpiadi di Londra in una gara che si tenne proprio a Carpi. Davanti alla mia gente corsi la maratona in 2 ore e 38 minuti. In Italia un tempo simile su quella distanza non l’aveva mai fatto nessuno. Adesso parliamo delle Olimpiadi di Londra, di quella fatidica giornata del 24 luglio 1908. Quel giorno a Londra faceva molto caldo, anche per un italiano. La corsa partì alle due e mezza del pome- riggio. Io avevo la pettorina numero 19, maglietta bianca e calzoncini rossi, all’inizio restai con il gruppo dei corridori in quanto non volevo forzare inutil- mente. Seguivo una mia strategia di corsa che mi ero preparato meticolosamente nei giorni precedenti. Sì, ma appena passasti il segnale di metà gara le cose cambiarono. Superati i 20 chilometri, applicai un ritmo sempre più spinto alla mia andatura che mi portò a supe- rare tutti quelli che mi stavano davanti e giunsi a ri- prendere l’atleta che era in testa, il sudafricano Charles Hefferon, quando mancavano meno di tre chilometri all’arrivo. Ma pagasti a caro prezzo questo tuo sforzo. A quel punto mi sentivo stanchissimo, ero quasi di- sidratato. Entrai allo stadio che quasi non riuscivo a correre dritto, barcollavo, sbagliai persino strada. Il pubblico nello stadio mi incitava a continuare, ma i giudici di gara mi fecero notare l’errore e mi fecero tornare indietro. Non reggevi più lo sforzo e sei persino caduto sulla pista. È vero, però con l’aiuto dei giudici di gara mi rialzai sempre. Caddi quattro volte in duecento metri prima di arrivare al traguardo, e ogni volta i giudici mi diedero una mano per rimettermi in piedi. Ta- gliai il traguardo in 2 ore e 54 secondi. Svenni per la © autore anonimo, foto di pubblico dominio
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