Missioni Consolata - Maggio 2018
MAGGIO2018 MC 53 MC A (segue a pagina 55) Scesi dai veicoli, a piedi ci adden- triamo nel barrio e nei suoi vari asentamientos humanos (insedia- menti umani). Man mano che proseguiamo il contesto urbano si degrada e con esso peggiora a vi- sta d’occhio la situazione di chi vi abita. Dopo qualche minuto di cammino arriviamo in una specie di piazzetta il cui pavimento è fango mischiato con detriti le- gnosi (scopriremo più in là il mo- tivo). Tutt’attorno abitazioni su palafitte costruite con legno di re- cupero e dalla struttura visibil- mente precaria. In un angolo sorge la cappella Sa- grado Corazón de Jesús, dove una ventina di fedeli e una decina di bambini attendono i padri per la messa domenicale. Dopo la cele- brazione, padre Miguel Ángel solle- cita le persone presenti a prendere il microfono e a raccontarsi davanti alla telecamera. Si alternano in molti, donne e uomini, probabil- mente attratti da quella piccola ma inaspettata opportunità di uscire dall’anonimato, di far sentire la propria voce. Con grande dignità raccontano da dove vengono, cosa fanno, dei problemi quotidiani. Che sono tanti, dalla mancanza di un lavoro a una situazione abita- tiva subumana. «Nessuno ha confessato di essere indigeno per timore della discrimi- nazione - commenta poco dopo padre Miguel -. Ma è importante sapere che questa gente proviene da comunità native. Si tratta di in- digeni urbani. Secondo noi, arri- vano all’80 per cento della popola- zione, in particolare qui, nelle peri- ferie. Ci sono persone con tratti so- matici indigeni, in altre si notano meno. Però i tratti culturali sono evidenti, soprattutto con riferi- mento alla cosmologia (la visione del mondo) e allo sciamanesimo». Gli chiedo di farmi qualche esem- pio. «Una città come Iquitos è piena di “piante che proteggono contro gli spiriti maligni”. Non ci sono cifre precise, ma sappiamo che il numero di sciamani è altis- simo. Quando muore qualcuno si cerca un colpevole, anche se il re- ferto medico parla di cancro. Ci sono persone che dicono di “foto- grafare gli spiriti” con il cellulare. Si lascia che i bambini prendano le proprie decisioni fin da piccoli, frutto di una concezione indigena della persona». Accanto alla cappella c’è una pic- cola e tristissima struttura che funge da asilo e i missionari scrol- lano la testa sconsolati. Pochi passi più in là, un signore attorniato da un nugolo di bambini sta caricando su un motocarro delle taniche di ac- qua. «Siamo a 300 metri dal rio Amazonas, ma qui non c’è acqua da bere, per lavarsi, per cucinare o per lavare. Non c’è acqua per nulla. Come, d’altro canto, in gran parte della città di Iquitos». Le «madereras» Dall’ asentamiento humano Alejan- dro Toledo ci incamminiamo verso quello chiamato Santa Rosa del Amazonas. Le stradine sterrate su cui cammi- niamo sono piene di trucioli e sega- tura di legno. «Il municipio - spiega padre Miguel - invece di riempire con terra ha permesso alle segherie di usare i loro scarti di lavorazione per rial- zare il terreno. Quando arriva la creciente (termine che indica i pe- riodi - normalmente da marzo a maggio - di massima portata del rio Amazonas e dei suoi affluenti, quando le acque esondano, ndr ), l’acqua continua a inondare le case, anche se si nota meno perché non compaiono ponteggi e passerelle. Sotto le case a palafitta sono però rimasti grandi vuoti dove si accu- mulano acqua putrida e rifiuti. Senza dimenticare che gli scarti del legno hanno fatto aumentare la po- polazione di topi e di zanzare. An- cora una volta ha vinto l’opportuni- smo di politici e affaristi a scapito dei diritti dei cittadini». Eccole, le madereras , le segherie, le imprese del legname. Sono state costruite in questa zona per la vicinanza con il porto di Masusa. Il problema è che oggi sono circondate da insedia- menti umani densamente abitati. Questo significa che la gente vive in mezzo ai residui della lavorazione del legno, tra cui particelle minu- scole che vengono respirate. Allo stesso tempo molti abitanti trag- gono vantaggio dalla vicinanza delle madereras per recuperare mate- riale per le loro abitazioni o per co- struire esteras (stuoie di legno) da vendere al mercato. Le segherie hanno barriere d’allu- minio che impediscono di vedere all’interno e torrette di guardia agli angoli. Ma per una cinquantina di • Amazzonia | Popoli indigeni | Fiumi | Foreste | Deforestazione •
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