Missioni Consolata - Maggio 2018

48 MC MAGGIO2018 D all’incontro verso l’altro. In questa nuova dimen- sione ho scoperto una purificazione interiore del mio servizio sacerdotale, laddove è aumentata la mia attenzione non al “fare”, ma all’essere stru- mento del Signore. È stato per me traumatico il non sentirmi compreso in questa mia scelta. Tante persone che per anni mi sono state vicine sono rimaste sorprese dal mio andare con i mili- tari. Sono stato etichettato come “prete guerra- fondaio” o traditore, parole forti che mostrano come non sia compreso il nostro servizio da tanti fratelli cristiani. Ho scoperto però in queste soffe- renze, grazie alla preghiera e alla sana solitudine, la forza necessaria per camminare in questa nuova strada della mia vocazione». Padre Stefano incontra i militari, li visita nei loro uffici, parla e scherza. Entra in confidenza con loro. E i militari si aprono a lui. Gli raccontano i loro problemi spirituali e personali. Nella sua di- versità si sente sempre missionario «poiché sono in costante movimento, andando alla ricerca del- l’altro, del fratello, porgendogli e condividendo con lui il Signore, nella mia fragile povertà umana». Lo scorso anno gli viene offerta la possi- bilità di tornare in Africa al seguito della missione italiana in Somalia. Padre Tollu accetta. Somalia blindata «L’opportunità di svolgere la mia missione all’e- stero mi fa sentire a casa - osserva -. Sono al ser- vizio del contingente italiano, ma con il permesso del mio vescovo e delle forze armate, mi sono messo a disposizione del personale non italiano, assistendo anche i lavoratori ugandesi presenti nella nostra base, i soldati del Burundi della base accanto alla nostra, i lavoratori di Fao, Nazioni Unite e Ong. Le mie messe sono una bellissima Babilonia di preghiere in italiano, francese, in- glese, kirundi, swahili e altre lingue ancora». A Mogadiscio è l’unico sacerdote cattolico. In tutta la Somalia, compresi i pastori protestanti, i religiosi cristiani sono quattro o cinque. «Il cap- pellano militare del contingente del Burundi, pa- dre Albino, lavora nel Nord della Somalia - os- serva padre Stefano -. In sei mesi ci siamo visti due volte. Con piacere accompagno i suoi ragazzi di nazionalità burundese ed è una bellissima testi- monianza di unità della Chiesa. Ho avuto il pia- cere di celebrare l’Eucarestia del Natale con il pa- store Rodriguez, battista, cappellano degli Usa. Lui si trova a Gibuti e, nell’impossibilità di seguire i suoi connazionali qui a Mogadiscio, ha chiesto la mia disponibilità. La risposta era scontata poiché, prima ancora che me lo chiedesse, mi ero messo a disposizione di tutti». Difficile invece per lui in- contrare i musulmani. «La realtà islamica è fram- mentata con leader legati a diverse scuole corani- che - chiarisce -. Non ho avuto il piacere di incon- trarli. Mi auguro che, nel futuro, una volta liberato il paese dalle infiltrazioni terroristiche, si possano creare le condizioni per corrette e benevoli rela- zioni con i fratelli di fede islamica». Cristiani nascosti Più complessa invece la relazione con i somali. La situazione di insicurezza in cui versa il paese, i continui attentati (3-4 volte a settimana a Mogadi- scio) impediscono un ruolo strutturato all’esterno della base. «Quando esco con i militari, accompa- gnandoli nei luoghi dove svolgono l’addestra- mento delle truppe somale - osserva -, lo faccio sempre rispettando le norme di sicurezza. Giub- botto antiproiettile, elmetto e un soldato che ri- mane sempre al mio fianco. Raramente posso uscire e, quando ciò accade, è per condividere un pezzetto della quotidianità di una parte dei miei ragazzi». La Somalia però lo ha impressionato. Così diversa dal Kenya e dall’Angola che ha conosciuto in pas- sato eppure non così disastrata come viene pre- sentata all’estero. «Quando ho attraversato Moga- © AFP PHOTO / S MON MA NA

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