Missioni Consolata - Maggio 2018
atteggiamento di preghiera: qui e nel giardino del Getsèmani (cf Mt 26,36), quasi a custodire gelosa- mente l’intimità col Padre che nessun occhio indi- screto dovrebbe mai violare. È, infatti, impensabile anche immaginare che Gesù non abbia bisogno di pregare perché, essendo Dio, «cresceva in sa- pienza… e grazia davanti a Dio» (Lc 2,52). Per lui, uomo reale in cerca della volontà di Dio che scopre lentamente, giorno per giorno, la preghiera doveva essere abituale e consueta per verificare la profondità della sua adesione al volere del Padre. Egli pregava anche oltre i ritmi ufficiali della liturgia in sinagoga che pure frequentava (Mt 12,9; 13,54; Mc 1,21.23.29...; Lc 4,16/20.28.38.44…; Gv 18,20). Rimasto nella pienezza della sua solitudine, prima di raggiungere i discepoli, Gesù si ritira a pregare sul monte da solo per individuare il «dove» della sua esistenza e le ragioni del suo andare. Curiosità Secondo la tradizione il monte sul quale Gesù si ritira in preghiera sarebbe il monte delle «beatitudini» (cf Mt 5,1) da dove Gesù proclama le coordinate del regno dei cieli (cfr. Alberto Mello, Evangelo secondo Matteo , Edi- zioni Qiqajon, Comunità di Bose, Magnano [BI] 1995, 271-272). Il pendolo: dalla folla verso il monte Per pregare, Gesù compie due gesti: «costringe» i discepoli a salire sulla barca, quasi fosse un ovile protettivo, che per Mt potrebbe essere «la Chiesa», di cui la barca è immagine. In secondo luogo, deve congedare la folla perché ha obiettivi solo mate- riali: il miracolo a buon mercato, il pane abbon- dante, insomma mangiare. La folla non sarà mai una comunità. Si può stare insieme nello stesso luogo, per lunghi tempi, dire e fare le stesse cose, ma non essere comunità: la folla è massa indistinta dove ognuno persegue interessi individuali e si ag- grega per piegare gli altri al proprio bisogno; essa è anche capace di vendere Dio e la madre a prezzi di saldi. Monasteri e comunità, con anni e decenni di convivenza, possono essere «una folla», fatta da un «insieme di solisti». La comunità eucaristica, al con- trario, è un popolo, per sua natura interdipen- dente, perché ciascuno è parte di un tutto, tanto che l’intera comunità/popolo è presente in cia- scuno dei suoi componenti e ogni suo singolo mem- bro è «sacramento» di comunione perché con il proprio limite ne esprime la pienezza e lo splen- dore. Ognuno è visto e sperimentato come la parte migliore dell’altro, sia come singole persone, sia come comunità nel suo complesso. Tutto ciò vale anche per le coppie sposate, per una famiglia che condivide il cammino di fede, per due amici, due amiche, per quanti cioè cercano il cielo e trovano la profondità dell’essere che ha il volto di Dio, pre- sente nelle persone incontrate sul cammino. Per tutti è indispensabile la preghiera che non è un de- bito verso Dio, ma un progetto da realizzare, un metodo di una visione, un sogno da sperimentare, una prassi così impellente da diventare ancora di più desiderio desiderato. Per tutti è essenziale di- ventare, per grazia e per scelta, come Francesco di Assisi che «non era tanto uno che pregava, ma lui stesso era preghiera». Rileggiamo il testo con animo sapienziale, cioè lasciandoci visitare dalle singole parole come messaggeri di Dio che vengono a stimolarci e a consolarci. Mt 14,22: «[Dopo che la folla ebbe mangiato], 22 subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a prece- derlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla». I verbi importanti sono: costringere, salire, prece- dere, congedare . Prego in modo spontaneo e abituale, oppure mi devo costringere a salire sul monte della preghiera, perché dominato dalla noia? Cosa mi trattiene dal salire in alto? A volte è necessario precedere il Si- gnore e quindi separarsi da lui, senza staccarsene, per aspettarlo. Sono consapevole che la separa- zione è parte della dinamica di relazione? La separazione comporta anche scegliere da soli, in- ventare, decidere, valutare, discernere. Oppure ho sempre bisogno di qualcuno che mi dica cosa devo essere e fare? Se fosse così, non penso che lo Spirito sia superfluo? Nei monasteri come si concilia questo con l’obbedienza? Ho mai preferito essere un ano- nimo tra la folla del mio ambiente per non essere di- sturbato o costretto a fare tagli forse dolorosi? Mt 14,23: « 23 Congedata la folla, salì sul monte, in di- sparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo». In questo versetto restano due verbi del prece- dente e se ne aggiungono altri nuovi: congedare, salire + pregare, stare . Mt usa la stessa espressione che l’autore dell’Esodo usa per Mosè: «Mosè salì verso il monte di Dio, e Dio lo chiamò dal monte, di- cendo: “Questo dirai…”» (Es 19,3). Mosè sale verso il monte di Dio, Gesù sale solo verso il monte. Mosè sale per ascoltare Dio, Gesù sale per pregare. Mosè riceve, Gesù vive. Per salire sul monte, bisogna andare in alto, segno che la folla stava in basso. Qual è il mio basso, qual è il mio alto? Ho un monte come mio progetto e orizzonte? Per Gesù pregare è stare sulla Parola per imparare a essere se stesso (Gv 8,31). Ho un monte dove posso stare senza ansia e angoscia? Mt 14,24-25: « 24 La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era con- trario. 25 Sul finire della notte egli andò verso di loro cam- minando sul mare». La Chiesa, la comunità, la famiglia, la scuola, il la- voro… la vita non è una barca ancorata in una rada dove si possa tranquillamente prendere il sole oziando. La barca è distante dalla riva e le onde la rendono insicura, anche perché c’è la possibilità che il vento soffiando al contrario aggravi la situa- zione. Credere non è una garanzia dai pericoli e dai rischi della vita. Perché il Signore non mi viene in aiuto? Io prego e tutto mi va male, mentre quello là MC R MAGGIO2018 MC 33
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