Missioni Consolata - Maggio 2018

MAGGIO2018 MC 21 tredici mesi fa per lavorare in una tv locale. Lo incontro a Kabul, in un ristorante frequentato solo da Ha- zara. Mi racconta: «Siamo un po- polo pacifico, lo scoprirai quando andrai a vedere Bamiyan e le sue splendide montagne, non è una coincidenza che di tutto l’Afghani- stan, quella sia l’unica parte sicura al momento». Perché più sicura?, gli chiedo. «Perché lì sono tutti ha- zara. Sono i Pashtun a fare la guerra. I talebani sono tutti pash- tun, le gang armate sono tutte pa- shtun, quelli che ci hanno perse- guitato sono sempre stati i Pash- tun. Ci sono stati anche i Tagiki e gli Uzbeki, che a volte hanno preso parte ai massacri, ma penso sia av- venuto solo per entrare nelle gra- zie di chi comandava, che erano sempre pashtun». Amir è quasi incredulo quando gli dico che in Italia, quasi tutti, quando pensano a un uomo af- ghano, hanno in mente l’immagine del Pashtun e che quasi nessuno sa chi siano gli Hazara. «A me sembra quasi impossibile essere ignorati così. Siamo uno dei popoli più per- seguitati della storia. Siamo rimasti in pochissimi: è stato un vero e proprio genocidio». Gli chiedo il perché. «La religione è una buona scusa per controllare chi deve compiere l’atto materiale dell’omicidio o dell’attacco suicida, com’è successo di recente a Kabul. I sunniti non ci considerano veri musulmani, nemmeno veri esseri umani a dire il vero, ed è risaputo che alcuni di loro hanno fatto voto di eliminarci tutti. Molti di noi hanno già pagato con la vita. Ma la ragione storica è più tribale che re- ligiosa. Le tribù hazara erano nu- merose, pacifiche e lavoratrici, avevano molte terre da coltivare e migliaia di capi di bestiame. Le prime persecuzioni avvennero per avidità e conquista, si sono pro- tratte fino ad oggi, ma sono certo che, se chiedi a un Pashtun del per- ché ce l’ha tanto con gli Hazara, non ti saprà dare un valido motivo. Io sono dovuto scappare in Paki- stan ma nemmeno lì siamo trattati bene. Ci insultavano ed eravamo oggetti di violenze quotidiane. Agli inizi degli anni 2000 però, non c’era molta scelta, con la mia fami- glia dovevamo decidere se morire in Afghanistan o essere bersagliati dal razzismo in Pakistan. La scelta è stata semplice». V erso Bamiyan, 15 dicembre 2017. Quando parto per Ba- miyan, decido di farlo via terra, ma a un certo punto devo ri- tornare indietro: la strada che col- lega Kabul con Bamiyan è occupata dagli scontri tra talebani e militanti dell’Isis, entrambi sunniti ma en- trambi interessati al controllo dei campi d’oppio. Finalmente, con un piccolo aereo da quaranta posti, arrivo a Ba- miyan, capoluogo di circa 100 mila abitanti, quasi tutti hazara. La città vecchia oggi è un luogo spettrale, bellissimo e ferito. Siamo nel cuore delle montagne afghane, un’aria sottile a 2.500 metri d’altezza, cime innevate e «case grotta» sca- vate nella roccia, dove ostinata- mente molti continuano a vivere. La prima cosa visibile sono le zionale, senza infrastrutture, priva di strade e grandi vie di comunica- zione. Fino agli anni ’70 nelle scuole sunnite si propaganda lo sterminio degli Hazara. Gli inse- gnanti predicano che l’uccisione di qualsiasi Hazara garantisce l’ac- cesso al paradiso. Arrivano i sovietici Nel 1979 la Russia invade l’Afgha- nistan, la persecuzione si placa, c’è un altro nemico contro cui com- battere e così, per circa dieci anni, paradossalmente gli Hazara vivono in pace in uno stato in guerra. Anzi, molti di loro combattono fianco a fianco con i mujaidin contro i russi, mostrando grande coraggio. Scappati i russi però le persecu- zioni riprendono. A parte rari casi in cui la presenza di Human Right Watch e Amnesty International re- gistra le uccisioni, non esistono nemmeno documenti ufficiali che attestino gli omicidi di massa. Ad- dirittura anche Ahmad Shah Mas- soud, il comandante mujaidin ed eroe afghano nella guerra contro i sovietici, viene accusato di aver or- dinato diverse rappresaglie ai danni degli Hazara. Le stragi conti- nuano ancora oggi: sono tantissimi gli attacchi recenti in tutto l’Afgha- nistan. Solo nell’ultimo anno a Ka- bul, sono stati colpiti due centri culturali e tre moschee sciite, tutte frequentate da Hazara. Questi at- tentati hanno causato la morte di novantacinque persone e il feri- mento di altre centinaia. Dominio pashtun Amir è un antropologo originario delle zone rurali attorno a Ba- miyan. I talebani, nei primi anni del loro regime, uccisero gran parte della sua famiglia e così lui, con i parenti superstiti, si rifugiò in Paki- stan. È tornato in Afghanistan solo A destra : Gulbahr, Centro di riabilitazione della Croce Rossa Internazionale: Shamir (a sinistra) e Shir Abudin, entrambi mujaidin ma in due conflitti diversi; il primo contro i russi, il secondo contro i talebani, entrambi hanno perso la gamba saltando su una mina antiuomo. Pagina precedente : uomini di etnia pashtun camminano verso la moschea di Herat. #

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