Missioni Consolata - Aprile 2018
APRILE 2018 MC 61 stire la loro capacità di produ- zione di una cultura della solida- rietà internazionale. In quegli anni, proprio per tutelare quella massa di «gente che andava e ve- niva dal Terzo Mondo», nascono le prime forme di interscambio con la politica la quale capisce, perlomeno nei gruppi più accorti, che quello che sta germogliando non è qualcosa che riguarda un «fuori», ma interessa e coinvolge un mondo ampio, strutturato, esigente e molto attivo di citta- dini. La prima legge Chi agevola questo cammino di interscambio reciproco è una «avanguardia» o, comunque, un gruppo della sinistra democri- stiana, che vede in Franco Salvi, Giovanni Bersani e Mario Pedini i propri cardini. Sono loro, insieme ad altri (Rampa, Pieraccini, Stor- chi), a ideare la legge 1222/71 (conosciuta come legge Pedini), entrata in vigore 10 giorni prima di Natale, che porta al riconosci- mento del volontariato per il tra- mite della cooperazione tecnica. Il nome della legge «Coopera- zione tecnica con i paesi in via di sviluppo» fa intravedere un’im- postazione piuttosto ambigua già dal termine impiegato. Infatti da un lato l’idea di cooperazione è un deciso superamento dell’im- postazione di aiuto. Mentre dal- di cambiamento. Il tutto con la ri- chiesta dell’impegno di tutti, laici compresi. Una chiamata alle armi dell’inter- vento individuale in favore dello sviluppo «integrale» dell’uomo e per l’uomo. Non è un caso che la stragrande maggioranza di questi gruppi, quelli perlomeno più strutturati, passano, in quetli anni, oltre la fase spontanea della sensibilizza- zione e mobilitazione per appro- dare a quella più professionale di formazione dei volontari e costi- tuzione di reti, coordinamenti e federazioni allo scopo di irrobu- MC A l’altro il tornare (sottolineandolo) all’aspetto tecnico riduce l’am- bito di intervento e marca ancora una volta la distanza tra «noi pro- grediti» e «loro arretrati». È co- munque già molto, ove si consi- deri che si passa dal concetto di assistenza, utilizzato corrente- mente fin quasi alla fine del de- cennio, a quello di cooperazione tecnica. Un deciso arretramento rispetto al dibattito internazio- nale - oltre che delle organizza- zioni e realtà italiane più impe- gnate ed evolute - che ruota, come si è visto, attorno all’idea di una partnership collaborativa fi- nalizzata allo sviluppo come sug- gerito dalla commissione Pearson incaricata dalla Banca mondiale di redigere un testo « Partners in Development » che rimane una guida indispensabile per com- prendere l’evoluzione del con- cetto di aiuto verso quello di sup- porto allo sviluppo endogeno per mezzo di un’azione di effettiva cooperazione. Origine delle Ong La lettura comune della legge del 1971 la considera un provvedi- mento confuso di raccordo tra «impulsi solidaristici e pressioni commerciali», per di più limitato alla tutela dei volontari cattolici che non rappresentano l’Italia ma solo se stessi e la propria carica ideale. Ma questa considerazione I media e lo scandalo Oxfam Tutti giù per terra S tiamo per pubblicare l’articolo di Antonio Benci quando scoppia il caso dei cooperanti di Oxfam ad Haiti. Operatori dell’Ong, anche di alto livello, che frequentavano alcune case di prostituzione a Port-au-Prince, all’indomani del terri- bile terremoto del 12 gennaio 2010. La notizia «buca» tutti gli schermi. Un fatto sicuramente ignobile, ancorché aggravato dal particolare contesto nel quale si è verificato. Detto que- sto l’effetto dello scandalo porterà probabilmente a un discredito globale del mondo del volontariato interna- zionale e delle Ong. Il grande circo mediatico funziona così: non si ferma a capire o a discernere. Fatta l’eti- chetta, tutti quelli a cui si può appiccicare subiscono le conseguenze del comportamento di pochi. In tutta franchezza posso testimoniare come sul campo operino decine di cooperanti onesti e integri, che compiono un lavoro eccellente. Compresi quelli di Oxfam, la più grande Ong del mondo. Sarebbe un pec- cato se tutta la categoria fosse messa all’indice a causa di un comportamento che, sì, esiste (non solo ad Haiti), ma che è una devianza, non la normalità. Talvolta è più facile nascondere comportamenti moralmente inaccet- tabili, proteggendosi dietro al logo di un organismo umanitario. Almeno fino a ieri. Marco Bello © Marco Bello
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