Missioni Consolata - Aprile 2018

Non si sa se ucciso dagli uni o dagli altri. Allora intervengo: «No, è un semplice vecchietto. Lui tutti i mesi prende un po’ di caffè e un po’ di fagioli, va giù al mercato e li scambia con queste cose. Fa la scorta perché per un mese non va più al mercato». A questo punto il tenente distoglie lo sguardo da Josè Luis e guarda me. Mi chiede i documenti. Io ho anche il permesso del generale che mi auto- rizza ad andare nella zona occupata dalla guerri- glia dove l’esercito non va. Senza quel documento ti considerano collaboratore della guerriglia. Io in- vece ce l’ho e faccio vedere la firma del generale, che è il suo superiore. Ma il tenente è ubriaco, non capisce più nulla e impreca. Mi dice: «Tu ti fermi qua» e, con il fucile M14 in mano, chiama due sol- dati che mette davanti e dietro di me. «Di qui non ti muovi. Se ti muovi applichiamo la legge della fuga» (se fai due passi, ti sparano). I capelli mi si drizzano, ma rispondo: «Non mi muovo. Sto fermo come una statua». Sono le 17.30. Alle 18 calerà la notte. Io ho da fare ancora tre ore a piedi. Sicuramente il tenente è convinto che, scendendo nella foresta al buio, la guerriglia mi ammazzerà. Alle 18 mi dice: «Puoi andare». La guerriglia non mi fa nulla ed io arrivo a desti- nazione alle 23. Un ubriaco non sa più niente Perché racconto questo? Perché quando uno è ubriaco non sa più cosa sta facendo. Non si rende conto. Purtroppo ho visto parecchi morti, anche giovani, per ubriachezza. In Colombia mi dicevano: «Quando due ubriachi litigano, non ti mettere in mezzo». Solo una volta, per sbaglio, mi sono intromesso e, infatti, il ma- chete di uno dei due mi ha sfiorato il torace strap- pandomi mezza camicia. Non l’ho mai più fatto. Proprio perché un ubriaco non ti riconosce: non sa se sei un amico, un fratello, una sorella, la mamma o il papà. Non sa più niente. La «catenella» dell’alcolismo Tutti bevono e dicono che lo fanno perché hanno sete o perché piace, per stare con gli amici o per dimenticare. Ma nessuno dice che beve perché lo fanno bere . Se prendiamo una catenella, osserviamo che ha tanti anelli. L’ultimo anello siamo noi che be- viamo. Salendo su per la catenella troviamo il luogo in cui beviamo. Dove beviamo? In un parco, in un bar, in una discoteca. Salendo ancora lungo la catenella troviamo chi ci dà da bere. Il barista. Ma chi fornisce questi posti di bevande alcoliche? In parole povere, arriviamo all’ultimo anello e vi troviamo i soldi. Questa è la catena che lega i giovani. Se si entra in questo giro e a un certo punto non si decide di chiedere aiuto per spezzarla, la catena uccide. Quando invece si ha la forza di dire «dammi una mano per uscire», allora si riesce a farlo vera- mente. Io sbaglio, tu sbagli, tutti sbagliamo, ma quando ammettiamo «ho sbagliato, ho bisogno di te», allora ne usciamo. Da soli non andiamo da nessuna parte. Come una mucca nel fiume Mi è capitato una volta di cadere in un fiume agi- tato che mi ha portato via persino i vestiti di dosso, lasciandomi in mutande. Per fortuna sono riuscito ad attaccarmi a una radice, ma per molto tempo sono rimasto lì perché non passava nes- suno. Dopo un paio d’ore finalmente è arrivato un mio amico, grande cowboy che tirava benissimo il lazzo ai cavalli e alle mucche. È arrivato tutto fe- lice e contento con il lazzo e il suo sigaro puzzo- lente e mi ha detto: «Ohe padre, ci crede alla sal- vezza?» e, trattandomi come una mucca, mi ha lanciato il lazzo. Mi ha agganciato e mi ha salvato. Mi ha dato una mano e mi ha tirato fuori dai guai. Lino Tagliani Trascrizione dell’intervento tenuto al convegno «Alcol e Giovani» di Torino, 3/11/2017. Pan American Health Organization PAHO/flickr com

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