Missioni Consolata - Marzo 2018
MARZO 2018 MC 81 chiara se facciamo un paragone con i tori. Quando sono ancora vi- telli si sentono più al sicuro in pa- scoli protetti da staccionate che impediscono ai tori, più forti di loro, di entrare. Crescendo, co- minciano ad avvertire la staccio- nata come un limite perché al- zando la testa vedono tanta buona erba di là dalla palizzata: sarebbe bello poterla brucare! Ma poi si guardano nello stagno e, benché cresciuti, si vedono an- cora creature acerbe incapaci di fronteggiare i tori adulti che si trovano nel pascolo aperto. Per cui sognano una situazione inter- media: lo spostamento della stac- cionata un po’ più in là per di- sporre di un recinto più ampio in cui l’erba sia contesa solo fra tori della stessa età e delle stesse di- mensioni. Più tardi, quando hanno raggiunto l’età adulta ed hanno superato ogni paura di confrontarsi con gli altri, rivendi- cano l’abbattimento di qualsiasi staccionata (anche di quella co- struita per proteggere i nuovi vi- telli) per scorrazzare liberi nell’in- finita prateria. Fuori di metafora, quando l’indu- stria è ai suoi albori, le imprese chiedono protezione agli stati. Non senza ragione. L’esperienza dimostra che solo in una situa- zione protetta, l’industria na- scente ha garanzia di sviluppo. In caso contrario rischia di essere sopraffatta dalle imprese stra- niere che, in virtù della loro forza tecnologica e finanziaria, possono inondare il paese di beni a prezzi così bassi da sgominare l’indu- stria locale. Per questa ragione molte nazioni africane sono rilut- tanti a firmare l’accordo di scam- bio alla pari proposto dall’Unione europea. Il famoso Epa, Economic Partnership Agreement , ossia «Accordo economico di partena- riato», che propone di applicare tariffe zero sui prodotti del Sud del mondo esportati verso l’U- nione europea e tariffe zero per i prodotti europei esportati verso i paesi del Sud del mondo. Il tutto sotto l’ipocrisia della reciprocità dimenticando, come si dice in Lettera a una professoressa , che non c’è niente di più ingiusto che fare parti uguali fra disuguali. Perché il protezionismo Tornando alla storia è un fatto che il capitalismo nasce protezio- nista. Le imprese manifatturiere di ogni nazione chiedevano ai propri governi di metterle al ri- paro dalla concorrenza estera tra- mite dazi doganali e ogni altro provvedimento utile a ostacolare l’ingresso di manufatti esteri. Ma il protezionismo a cui le imprese MC R • Mercati | Finanza | Profitto | Ingiustizie • aspiravano era a senso unico: porte chiuse alle merci straniere, ma possibilità di collocare le pro- prie nei mercati degli altri. Una pretesa non di rado soddisfatta con le armi. Valgano come esem- pio le guerre dell’oppio di metà Ot- tocento fra Cina e Gran Bretagna per la pretesa da parte di quest’ul- tima di commercializzare in Cina l’oppio coltivato in India. La stessa annessione dell’India all’impero britannico aveva come obiettivo non solo quello di impossessarsi delle materie prime indiane, ma anche di garantire un ampio mer- cato alle manifatture tessili inglesi. Non a caso Gandhi fece dell’auto- produzione tessile uno dei simboli della resistenza contro il dominio britannico. In principio fu la Singer È in questo contesto di amore-odio per il protezionismo, che a fine Ot- tocento le imprese di grandi di- mensioni mettono a punto una nuova strategia di espansione. La formula si chiama colonizzazione dall’interno e si basa su un ragio- namento semplice: se non si può entrare nei mercati degli altri con prodotti che vengono da fuori, ci si può entrare producendo da den- tro. Così nel 1867 l’americana Sin- ger si paracaduta in Gran Bretagna e dopo aver fondato una società, di proprietà sua, ma giuridica- mente inglese, apre a Glasgow una fabbrica di macchine da cucire au- torizzate ad invadere l’isola perché made in England . Singer apre ufficialmente il corso moderno delle multinazionali, più propriamente dette gruppi multi- nazionali dal momento che non si tratta di imprese singole ma di tante società imparentate fra loro per il fatto di appartenere a una medesima società che sta a capo di tutte. Oggi i gruppi multinazionali sono 320mila per un numero com- plessivo di oltre un milione di filiali. Tutti insieme fatturano 132 mila miliardi di dollari e generano pro- fitti lordi per 17mila miliardi. E se in certi settori, come le sementi, i velivoli, il petrolio, l’auto, l’acciaio, sono i protagonisti esclusivi, non meno importante è il loro peso sul- l’economia mondiale considerato che contribuiscono al 35-40% del Multinazionali: i numeri (2016) • Gruppi censiti: 320.000 • Totale società controllate: 1.116.000 • Quota di partecipazione al prodotto lordo mondiale: 35-40% • Fatturato lordo comples- sivo: 132mila miliardi di dol- lari • Profitti lordi complessivi: 17mila miliardi di dollari • Quota di commercio estero gestito: 80% • Occupati: 300 milioni (15% della mano d’opera salariata a livello mondiale) Grafico: l’appartenenza delle prime 200 multinazionali del mondo. Fonte: Cnms, «Top 200. La crescita di potere delle multinazionali», Vec- chiano 2017; il lavoro è scaricabile - gratuitamente - dal sito del «Centro nuovo modello di sviluppo» (www.cnms.it) . USA REGNO UN TO 8 ( ) G APPONE C NA 63 (+ ) 20 (+!) GERMAN A 15 ( !) 41 (+!) FRANC A 14 ( !) ALTRO 39 ( )
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