Missioni Consolata - Marzo 2018

prattutto nelle zone di confine. Va ricordato che i tunisini costitui- scono il gruppo più numeroso del multietnico e globalizzato Daesh: dalla Tunisia, negli ultimi anni, si sono arruolati nelle fila dello Stato islamico migliaia di giovani. Secondo dati ufficiali rilasciati dal governo tunisino nel 2013, circa 3.000 giovani si sono uniti ai gruppi takfiri dello Stato islamico, mentre i rapporti delle Nazioni Unite e altre organizzazioni par- lano di 5.000 - 7.000 combattenti. Inoltre, è balzata tristemente alle cronache la vicenda del Jihad al- Nikah , il «jihad sessuale» chiesto dal Daesh alle giovani donne arabe. Dalla Tunisia ne sono par- tite diverse decine, destinate alla prostituzione tra i combattenti in Siria. A sostenere l’esistenza di questa tratta ci sono anche le di- chiarazioni di politici tunisini, tra cui il ministro dell’Interno Lofti Bin Jeddo. Il ritorno dei jihadisti tunisini A settembre 2017, secondo quanto riportato da vari giornali arabi, il governo di Tunisi ha av- viato un piano di deradicalizza- zione delle diverse migliaia di «jihadisti di ritorno», cioè giovani tunisini che hanno combattuto a fianco di formazioni del Daesh in Libia, Siria, Iraq e in altri paesi. Si tratterebbe di un progetto che prevede la «riabilitazione» dei fo- reign fighters , o combattenti stra- nieri. In Tunisia, come in Ma- rocco, la gente non vuole che questi soggetti radicalizzati ritor- nino a casa, poiché sono un peri- colo, una fonte di destabilizza- zione e di potenziale terrorismo. Infatti, in occasione degli attacchi sopracitati sono state organizzate diverse marce di protesta. La Tu- nisia, diversamente dalla Libia po- stregime di Gheddafi, e dall’Egitto (con una storia notevole di islami- smo politico, dal quietista al vio- lento, e formazioni attualmente molto attive nel Sinai), non per- mette lo sviluppo interno del jiha- dismo. Dunque, chi si sente at- tratto da questa visione politica violenta sceglie di andare a com- battere fuori dal paese. Ecco per- ché i jihadisti tunisini del Daesh sono il gruppo nazionale più nu- meroso, seguito da libici e alge- rini. Come abbiamo spiegato su que- sta rivista in precedenti articoli , a spingere verso la radicalizzazione è, in genere, un insieme di cause. Nel contesto tunisino agiscono l’emarginazione sociale, politica ed economica, la mancanza di prospettive; la delusione provo- cata in certi strati sociali dalla de- cisione di Ennahda di limitare i propri riferimenti all’ambito poli- tico: questo ha portato alcuni a ri- fugiarsi in altre realtà dell’islami- smo ideologico per trovare punti di riferimento e motivazioni. Inol- tre, non va dimenticato che molti islamici radicali tunisini arrivano dalle aree di confine con Algeria e Libia. Angela Lano (sesta puntata - continua) retratezza sociale, in particolare verso le donne. Attentati e terrorismo Dalla rivoluzione del 2011, la Tu- nisia è stata oggetto di attentati da parte del Daesh: oltre al già ci- tato attacco al Bardo, ricordiamo quello dentro a un resort turistico a Marsa al-Qantawi, nei pressi di Sousse, il 26 giugno del 2015, e ri- vendicato sempre dal Daesh, nel quale 39 persone vennero uccise a colpi di kalashnikov e altre 39 ferite; quello del 24 novembre 2015, contro un autobus con a bordo guardie presidenziali, che percorreva una strada di Tunisi, sempre rivendicato dal Daesh. A seguito di quella strage, il go- verno tunisino impose un severo controllo sulle moschee, chiu- dendo quelle che non risultavano rispettare una normativa che im- pone agli imam di essere autoriz- zati dal ministero per il Culto. L’11 maggio 2016, alcuni sospetti ter- roristi furono uccisi e altri arre- stati durante scontri armati con le forze di sicurezza tunisine nel di- stretto di Mnihla, nella grande Tu- nisi. Quattro guardie nazionali fu- rono uccise in un attacco suicida durante un’operazione di sicu- rezza a Tataouine, nel Sud del paese. Infine, quella nota come la «Battaglia di Ben Guerdane», al confine con la Libia, il 7 marzo 2016: forze del Daesh tentarono di mettere sotto assedio la citta- dina tunisina, ma furono respinti dai militari. Gli scontri prosegui- rono anche nei giorni successivi. L’attacco jihadista causò la morte di 52 persone, tra cui 35 aggres- sori che erano entrati dalla Libia, quattro dei quali erano cittadini tunisini. La principale minaccia terroristica in Tunisia è rappresentata da «al- Qa’ida nel Maghreb Islamico» (Aqmi) e da estremisti libici colle- gati allo Stato islamico (Daesh). La Tunisia ha un confine «aperto» con la Libia, dove permane una si- tuazione instabile e densa di con- flitti, e con una forte presenza di bande armate e gruppi terrori- stici. Le forze di sicurezza tunisine sono state ripetutamente oggetto di attacchi da parte dei terroristi, so- 60 MC MARZO 2018 N OTE (1) Ḥ araka Nidā ʾ Tūnus , Movimento dell'appello della Tunisia, è stato fon- dato nel 2012 dal premier di allora, Beji Caid Essebsi. Alle elezioni presi- denziali del 2014 diede vita a una coa- lizione elettorale con il Partito repub- blicano: l’Unione per la Tunisia. Le elezioni parlamentari del 2014 furono vinte da Nidā ʾ Tūnus (85 seggi su 217). Ennahda ne ottenne 69. (2) Al- Ḥ iwār al-Wa ṭ anī al-Tūnusī è composto da quattro organizzazioni della società tunisina: l’Unione gene- rale tunisina del lavoro (Ugtt); la Con- federazione tunisina dell’industria (Utica); la Lega tunisina per la difesa dei diritti dell’uomo (Ltdh); l’Ordine nazionale degli avvocati (Onat). Nel 2015 ha ricevuto il premio Nobel per la pace «per il suo contributo decisivo alla costruzione di una democrazia pluralistica in Tunisia, sulla scia della Rivoluzione del Gelsomino del 2011». © Arne Hoel - World Bank ISLAM

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