Missioni Consolata - Marzo 2018

58 MC MARZO 2018 diritti individuali, che altri non hanno avuto il coraggio di affron- tare: interruzione del digiuno in pubblico, omosessualità, diritti personali. È dalla fine del 2012 che l’opposizione, anche di sini- stra, delegittima questo partito. In Tunisia, come era avvenuto an- che in Egitto, la sinistra aveva chiesto, paradossalmente, l’inter- vento dell’esercito per destituire Ennahda. La situazione si era ri- solta grazie al “Quartetto per il Dialogo nazionale” 2 ». Il sindacato Ugtt si era offerto come media- tore politico per far uscire il paese dalla crisi. Era stato dunque nominato un nuovo governo provvisorio, con un rimpasto di ministri, e si era evitata la guerra civile, come in- vece era accaduto in Egitto e in Li- bia. Nel 2014 Ennahda ha perso le elezioni, e anche il consenso in- terno. Le decisioni successive sono andate contro «lo spirito ri- voluzionario», di cambiamento, richiesto dal popolo, soprattutto dagli strati sociali più giovani: è stata messa in atto una strategia di auto conservazione dei vecchi partiti filo Ben Ali che si sono infil- trati nel processo di cambia- mento in corso, dando vita a una contro rivoluzione. E gli effetti si sono visti: disoccupazione, crisi economica, disperazione, fino alle sommosse di gennaio 2018. In realtà questa fase di «restaura- zione» era scattata già subito dopo la fuga di Ben Ali: il vecchio establishment si era subito messo in moto per rimanere all’opera nonostante la rivoluzione. Ora Ennahda è di nuovo il primo partito, dopo la spaccatura di Ni- da’a. Nonostante abbia apportato importanti cambiamenti politici e sociali, negli anni di governo, dal punto di vista economico rimane neoliberista, come il resto della Fratellanza musulmana da cui trae le proprie radici politico ideo- logiche. «Sul fronte del centrosi- nistra, invece - hanno aggiunto Kais e Debora -, c’è il vuoto: gli at- tivisti o sono andati all’estero o sono stati assorbiti dalle Ong in- ternazionali. Una parte della po- polazione giovanile rivoluzionaria, dopo il 2011, ha iniziato a dedi- carsi ad altro, e non più alla poli- tica, perché ne è stata delusa». Tuttavia, ci hanno fatto notare gli attivisti incontrati, qualcosa di po- sitivo è stato messo in atto, ed è la cosiddetta «Istanza della Giusti- zia di transizione»: un processo sociale, politico e giuridico per ac- certare le responsabilità del re- gime dittatoriale e dei suoi espo- nenti. La «riconciliazione nazio- nale» deve passare attraverso il riconoscimento dei crimini com- messi durante la dittatura e l’a- scolto delle storie delle vittime, per evitare che si ricreino le stesse dinamiche. Per questo mo- tivo nel dicembre del 2013 è stata promulgata la legge sulla Giustizia di transizione che ha creato l’«Istanza Verità e Dignità», con mandato fino al 2019: vengono raccolte e valutate le denunce dei cittadini che hanno subito viola- zioni dei diritti umani dal 1956 in poi. Sono 63.000 i dossier raccolti - hanno aggiunto Debora e Kais -, e sono relativi a vari tipi di viola- zione dei diritti - civili, economici, politici - e comprendono anche torture, stupri, sparizioni, decessi in carcere e altre morti sospette, impedimento dell’accesso all’i- struzione, matrimoni forzati. I re- sponsabili sono diversi: lo stato e i singoli individui. Nei casi di corru- zione viene chiesto ai responsabili la restituzione delle somme ru- bate. Il processo serve più alle vit- time: «è un flusso della co- scienza», una rielaborazione della memoria. Le vittime hanno la li- bertà di nominare pubblicamente i torturatori, gli oppressori, di rac- contare le loro storie, durante udienze mandate in onda anche in Tv e che durano diverse ore. Ci ISLAM Sopra e pagina seguente: volti di donna. Qui accanto: una manifestazione del 2011 nel quartiere del Bardo, a Tunisi. # © Amine Ghrabi, 2011 © Arne Hoel - World Bank

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