Missioni Consolata - Marzo 2018

passione della vita o dell’intreccio della relazione. Si recita. Come in un piccolo teatro personale. Pre- gare, invece, è lasciarsi restituire da Dio la vita in- sieme alla nostra responsabilità e alla nostra di- gnità di testimoni della sua Presenza ( Shekinàh ). Gesù si ritira in preghiera perché deve riordinare le coordinate dopo essere stato con la folla che ha ap- pena sfamato, moltiplicando il pane con l’obiettivo di invitarla a cercare il pane che non perisce (cfr. Gv 6). La folla non capisce perché «cerca» un «utile» immediato. Per capire il nesso degli eventi e la dire- zione della sua vita, deluso da questo atteggia- mento, Gesù prende una decisione drastica: con- geda la folla, se ne stacca e si libera dall’ossessione del risultato. Di fatto, è il primo fallimento di Gesù. Da questo momento, egli si dedica alla formazione dei discepoli ai quali impartisce una serie di lezioni per educarli a vedere oltre i segni, oltre le appa- renze, come ha appreso lui nell’intimità orante col Padre. Non insegna loro come raggiungere un risul- tato, ma come devono essere loro e quale metodo devono utilizzare per essere sempre se stessi, fedeli alla loro missione che coinvolge direttamente il nome e il volto di Dio. Gesù si preoccupa che i discepoli si stacchino dalla logica della folla, come se volesse proteggerli dal vi- rus mortale del consenso e del successo: li manda all’altra riva, anzi li «costrinse a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva» (Mt 14,22). Come una mamma che difende i suoi piccoli, resta lui da solo a fare da scudo, preservandoli dalla folla. La folla non è mai popolo e i discepoli non possono monda- nizzarsi, devono vedere le cose da un altro punto di vista, dall’alto, e per questo devono imparare a ra- gionare, a pensare come Dio, cioè a pregare per il- limpidirsi lo sguardo del cuore per potere vedere nel profondo della realtà. Non è facile, per questo Gesù insegna loro come fare. Scrive Madeleine Del- brêl (1904-1964), una tra le più grandi mistiche di ogni tempo: «La fede non è forse vita eterna impegnata nel tempo- rale? Noi ci vediamo costretti a raccordare la nostra vita di cristiani con tutto ciò che per noi è attuale: accele- rato, momentaneo, immediato. Non è che questo ci co- stringa a credere diversamente, ci costringe a vivere di- versamente» (Madeleine Delbrêl, È stato il mondo a farci così timidi? Uno scritto inedito , Editrice Berti, Pia- cenza 1999, 16-17). Matteo riporta in 14,22-33 il racconto di Pietro che rischia di affondare in mare. Dopo il fallimento con le folle, Gesù si prende cura dei suoi discepoli, im- partendo loro la prima lezione di vita di fede. L’e- vangelista mette in evidenza di proposito l’atten- zione particolare di Gesù verso Pietro (cfr. anche Mt 16,16-21; 17,24-27), legato ai propri schemi li- mitati e non ancora libero di gettarsi al collo di Dio. È vero che si lancia fuori dalla barca, ma rischia di affondare perché lo fa con riserva e non con l’ab- bandono che Gesù esige con il suo «Vieni!». D’altra parte come può avere paura uno che pensa di es- sere «afferrato» dal desiderio di raggiungere l’a- more? Per non sprofondare, Pietro ha bisogno di una «mano tesa» che lo «afferri» (Mt 14,31), sal- vandolo dalla povertà della sua «poca fede». Gesù è già lì, pronto col braccio teso, prima ancora che Pietro possa invocare: «Salvami!». Nota linguistica. L’espressione: «Dopo avere steso la mano, lo afferrò», è un’espressione idiomatica semita, che dimostra come spesso gli autori del NT pensano in aramaico/ebraico e scrivono in greco. Le lingue semite sono descrittive per eccellenza: l’azione della mano, infatti, è osservata dall’inizio alla fine dell’opera di salvamento: per affer- rare Pietro, occorre prima stendere la mano verso di lui (cfr. Gen 22,10), azione che denota la volontà decisa d’intervento. Solo superando le ipotesi su Dio Pietro riesce a invocare Dio Nonostante il Signore si faccia riconoscere e infonda coraggio, la paura permane e genera diffi- denza; Pietro, infatti, insicuro, mette alla prova il Si- gnore: «Signore, se sei tu…» (Mt 14,28) che è la stessa richiesta del diavolo nelle tentazioni: «Se tu sei figlio di Dio…» (Mt 4,3.6). Durante la passione ri- troveremo Pietro che rinnegherà tre volte l’identità di Gesù, sconfessando la sua, negando cioè di es- sere quello che è: suo discepolo (cfr. Mt 26,69-75; cfr. Gv 18,17.25-27). Tra tutti i discepoli, Pietro è il più fragile, il più pauroso e il più insicuro: non sem- pre l’autorità brilla per chiarezza, coerenza e di- gnità. Egli di fronte a Gesù che cammina sulle ac- que, ubbidisce alla parola materiale del Maestro che lo chiama a dominare le acque con lui, ma nel suo cuore vacilla, dubita e non fidandosi non si af- fida alla Parola che lo sostiene: egli vuole «fare come Gesù», ma basta la contrarietà del vento per dargli la sensazione del pericolo. Un discepolo non è mai la fotocopia del maestro altrimenti non somi- glierebbe a colui che costruisce la casa sulla sabbia (cfr. Mt 7,26-27) e frana in mezzo all’acqua da cui viene travolto, come i carri e i cavalli del Faraone (cfr. Es 14,26). Solo l’affidamento e la consapevolezza di essere salvati pone nella condizione esistenziale di essere veri discepoli: «Signore, salvami!» (Mt 14,30). Con questa invocazione Pietro rinasce come «l’anti Àdam» perché non usurpa l’identità di Dio, ma si la- scia afferrare dalla mano forte e sicura del Signore che lo reintegra nella fede sufficiente: «Uomo di corta fede» (Mt 14,31). La nostra corta fede spesso c’impedisce di vedere la Parola e la mano che si protende a noi! All’arrivo del Signore, salito sulla barca (nei vangeli è sempre simbolo della Chiesa), il vento cessa. Gesù domina gli elementi della natura come Yhwh governa e comanda i fenomeni naturali che fanno da sfondo alle sue apparizioni teofani- che. Gesù si presenta assumendo su di sé il Nome stesso di Dio rivelato nella maestosa teofania del Sìnai a Mosè che vive l’esperienza del roveto ar- dente: « Io-Sono - Egô Eimì » (Es 3,14). MC R MARZO2018 MC 33

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