Missioni Consolata - Marzo 2018

significa di per sé «essere comunità», sacramento visibile della Gerusalemme celeste (vedi approfon- dimento più sotto). Tutte le comunità corrono sempre il rischio di es- sere «mucca da mungere», da cui ognuno succhia il proprio latte, ma che nessuno si preoccupa di nu- trire. Perché la comunità, la famiglia, il matrimo- nio, la coppia, il gruppo, siano segno della Gerusa- lemme celeste «visibile», è necessario che siano coniugati sullo stesso registro tre pilastri: l’indivi- dualità, la comunità e la Trinità come metro di mi- sura. Altrimenti, ci troviamo dentro una qualsiasi associazione d’interesse e di sfruttamento. Nota esegetico-spirituale Cercare Dio è un «ritorno al principio», bisogno prima- rio della persona e biblicamente si coniuga con l’altro termine «trovare»; insieme formano un binomio es- senziale: «cercare-trovare». Noi cerchiamo Dio, ma lui si fa trovare? Donna Sapienza ci assicura di lasciarsi trovare da coloro che la cercano (cfr. Pr 8,17), mentre l’amante donna del Cantico dei Cantici per ben tre volte cerca l’amato del suo cuore, ma senza riuscire a trovarlo, anzi afferma espressamente: «Non l’ho più trovato» (Ct 3,1.2;5,6). Eppure il binomio «cercare-tro- vare» è tipico dell’innamoramento; la stessa donna in- namorata del Cantico dei Cantici non si rassegna e corre per le vie di Gerusalemme alla ricerca dell’a- mato: lo trova, lo smarrisce e lo ritrova. Noi credenti, se innamorati, possiamo cercare e trovare nella Parola il volto di Dio e il riflesso del nostro cuore che si rispec- chia in lui per apprendere orizzonti, comportamenti e atteggiamenti. Il salmista , dal canto suo, mette in moto il cuore per cercare il volto del Signore e ne fa un vanto di gloria (cfr. Sal 27/26,8; 105/104,3). Per Amos (sec. VIII a.C.) «cercare il Signore» è vivere e nutrirsi della sua Parola che però non è facile trovare se non si conosce già ciò che si vuole (cfr. Am 5,4.6; 8,12). Il profeta Michèa (sec. VIII a.C.) ribalta la questione: è il Signore che cerca noi e da noi vuole solo giustizia, tenerezza e co- munione (cfr. Mic 6,8). A essi risponde il 1° Isaìa (sec. VIII a.C.) dicendo che cercare il Signore è sinonimo di prendere coscienza dello stato di desolazione in cui da soli ci siamo ridotti (cfr. Is 26,16). Il 2° Isaìa nel VI sec. a.C. descrive la volontà di Dio che è sempre reperibile perché non gioca a nascondino per farsi cercare nel caos/vuoto (cfr. Is 45,19), mentre il 3° Isaìa , nel sec. V- IV a.C., ha una prospettiva più universalistica e ci assi- cura che il Signore si fa trovare anche da coloro che non lo cercano affatto (cfr. Is 65,1). Sant’Agostino sintetizza tutto questo percorso con le parole insuperabili delle Confessioni che rispecchiano la sua esperienza personale, ma anche l’anelito di ogni vivente: « Fecisti nos ad Te, et inquietum est cor no- strum, donec requiescat in Te - Ci hai creati per te e il nostro cuore sta inquieto finché non trova riposo in Te» (Sant’Agostino, Le Confessioni , 1, 1, 1: CCL 27, 1 [PL 32, 659-661]). L’idolatria sempre in agguato Occorre stare attenti perché Dio può anche essere un «idolo» che noi scambiamo per Dio. Spesso sono le persone religiose che trasformano Dio in un idolo, dando così il fianco a chi ritiene di avere ragioni per negare la serietà di Dio e l’inutilità dei monasteri di clausura o dei conventi o delle congre- gazioni religiose, visti dall’esterno come comodi ri- fugi per una vita senza preoccupazioni: pasto, letto, tetto, e (forse) cultura sono assicurati, che piova o faccia freddo, perché è garantita la sicurezza del- l’oggi e del domani. Il «voto di povertà» può diven- tare la massima garanzia «previdenziale» e assicu- rativa della vita: «Nihil habentes et omnia possi- dentes» (2Cor 6,10), capovolgendo la prospettiva del Vangelo e dell’apostolo Paolo. Noi credenti dobbiamo stare attenti a non fare di Dio il nostro «idolo» perché si può essere religiosi atei, si può essere atei e laicisti devoti per interesse, si possono osservare tutte le regole della vita religiosa e vivere nella totale assenza di se stessi a Dio. Gli idoli sono necessari agli impiegati della religione per semplifi- care la vita, trasformando Dio in un «tappabuchi» (Bonhöffer) sostitutivo della nostra incapacità di es- sere veri e autentici nella trasparenza evangelica della verità di Dio. La preghiera, lo abbiamo visto e anche ripetuto molte volte, non è macinare parole o ingurgitare sospiri, ma purificare ciò che noi pensiamo di Dio, illimpidire lo sguardo per imparare a vedere e scru- tare con gli occhi di Gesù, esercitarsi a pensare come lui in ogni circostanza, non secondo questa o quella filosofia, questa o quella ascetica, questa o quella convinzione o morale. Il concilio Vaticano II ci ha messi in guardia dal rischio che il Dio in cui di- ciamo di credere sia veramente il Dio di Gesù Cristo ( Gaudium et Spes , nn. 19-20). Il comandamento di «non nominare il nome di Dio nel vuoto» (Es 20,7) non è rivolto ai bestemmiatori, ma ai credenti che impudicamente usano Dio come una merce o peg- gio una clava per ammazzare, distruggere, annichi- lire, mettere a tacere gli altri, identificandolo come sponsor della propria ragione e del torto altrui. Vigilare la consuetudine Pregare è un’altalena: «Lui deve crescere e io dimi- nuire» (Gv 3,30). Nella preghiera occorre fare spa- zio al Signore che non è mai invadente e proporzio- nalmente diminuire i preconcetti, le certezze, le si- cumere, le durezze che, come spazzatura, occu- pano spazi che meritano migliore distribuzione. Siamo talmente abitudinari nel nostro rapporto con Dio da averne perso completamente la memoria: viviamo per forza d’inerzia, andiamo avanti per schemi, senza nemmeno pensare o capire o accor- gerci che inerzia e schemi hanno preso il posto dell’incontro. Quando qualcuno dice: «Vivo un tempo di aridità spirituale», oppure «mi distraggo quando dico le preghiere», che cosa significa se non che si sono smarriti nel dedalo dell’usuale, del convenzionale e delle formule? Dire «le» preghiere, ecco il punto. L’uso del plurale è sintomatico per- ché esprime l’idea che si tratti di una pratica acqui- sita, come prendere una medicina, a orari fissi (mattina, sera) per togliersi il pensiero. Non c’è la 32 MC MARZO2018 Insegnaci a pregare

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