Missioni Consolata - Marzo 2018

SUDAFRICA 30 MC MARZO2018 d’accordo con il pontefice Pio XII il quale, già nel febbraio 1957, disse a un gruppo di medici che non vi è l’obbligo morale di usare mezzi artificiali e straordinari per resuscitare un corpo, purché sia esclusa ogni speranza di ripresa» (facendo riferimento a un di- scorso del papa del 24 febbraio 1957 su tre quesiti della «Società Italiana di Anestesiologia», ndr ). Ciò valeva per Denise Darvall il cui cervello era stato distrutto. I l grande evento avvenne il 3 dicembre 1967. Nel reparto di cardiochirurgia era già tutto predisposto nella sala B. Il gio- vane Barnard, coadiuvato dai dott. Rodney Hewinston e Terry O’Donovan, asportò parte del cuore della ragazza; simultanea- mente, nella contigua sala A, un’altra équipe asportò parte del cuore del paziente ricevente. Bloccando i grossi vasi, Barnard estrasse il cuore di Denise e lo de- positò per un istante in una baci- nella tenuta dall’infermiera Peggy Jordan. Ora cominciava la parte più delicata dell’intervento. Pren- dere il cuore di Denise e trapian- tarlo nel petto di Washkansky. Barnard, rifacendosi al metodo ingegnoso ideato da Shumway, procedette alla saldatura: non si asportava tutto il cuore, ma se ne lasciava in situ la «calotta», ossia la parte superiore. Immerso in una soluzione ghiacciata di acido lattico, sembrava molto piccolo accanto a quello del ricevente. Non si vedevano segni di attività, ma Barnard sapeva che vi era una scintilla di vita, e sapeva che l’or- gano si sarebbe messo a battere non appena le prime gocce di sangue caldo ossigenato fossero arrivate attraverso le arterie co- ronariche. E solo allora il cuore avrebbe ripreso vita salvando l’uomo che Denise Darvall non conosceva. L’intervento raggiunse la fase cruciale. Il cuore di Denise, privato della sua «calotta», venne accollato al «residuo» del cuore di Washkansky. In pratica, circa i due terzi inferiori del cuore della ragazza vennero accostati e sutu- rati al terzo superiore del cuore del ricevente. Quasi un «gioco ad incastro». Terminato l’intervento, seguirono lunghi minuti di silen- zio, nella trepidante attesa che il cuore trapiantato desse i primi segni di un’attività autonoma. Il giovane cuore di Denise riprese a battere nel petto di un uomo di trent’anni più anziano. Il più bel tramonto del mondo al giovane cardiochirurgo non sarebbe sem- brato altrettanto stupendo. Di- ciotto giorni dopo il paziente subì un’infezione polmonare che lo portò al decesso. Ma Barnard non si scoraggiò e il 2 gennaio 1968 effettuò il suo se- condo trapianto su Philip Blai- bertg. «Questa - spiegò - è stata un’operazione veramente impor- tante. È stato in questo caso che il mondo ha conosciuto il tra- pianto cardiaco. Abbiamo dovuto dimostrare che un paziente sotto- posto a un trapianto di cuore era in grado di riprendersi dall’inter- vento, di lasciare l’ospedale e di condurre una vita normale». In- fatti, il paziente sopravvisse 593 giorni (19 mesi) dopo il trapianto. Il famoso clinico effettuò altri 51 trapianti prima di «depositare» il bisturi a causa di una grave forma di artrite. Morì il 2 settembre 2001 a Cipro in seguito ad un at- tacco acuto di asma, e non per ar- resto cardiaco come divulgato da alcuni mass media. Ernesto Bodini A destra : Christiaan Barnard in udienza da papa Paolo VI nel gennaio 1968. Sotto : la prima operazione di trapianto cardiaco il 3 di- cembre 1967 all’ospedale Groote Schuur di Città del Capo in Sudafrica. #

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