Missioni Consolata - Marzo 2018
MARZO2018 MC 11 questo paese. Pacato e gentile, indossa una giacca grigia che gli conferisce una certa autorevo- lezza. Il suo sguardo sereno ci scruta da dietro le lenti di vistosi occhiali. Oramai da alcuni anni Touré è di- ventato il punto di riferimento dei migranti guineani, ma anche senegalesi, ivoriani, maliani in transito per la capitale nigerina. In maniera totalmente volontaria e gratuita, Touré si è organizzato per aiutare in tutti i modi possibili questi giovani, oggi in fuga dalla Libia, ieri in viaggio verso quel paese. Il nostro uomo ci aspetta per por- tarci in uno dei tre «Foyer» (o centri) nei quali accoglie migranti di passaggio. Lo seguiamo. Dietro al rond-point imbocca una stra- dina, quasi un vicolo. Ci fa par- cheggiare. A piedi ci conduce in un viottolo tra case in banco (pro- nuncia bancò : fango e paglia es- siccato al sole, materiale di co- struzione tradizionale, molto usato in ambito rurale e ancora, talvolta, nel centro della capi- tale). Accediamo a un cortile che sembra quello di un quartiere pe- riferico o di un villaggio: terra battuta, frammenti di muri in fango scrostati, qualche panca di legno grezzo, un via vai di per- sone. Qui siamo subito circondati da al- cuni giovani che ci squadrano con sguardi tra il curioso e l’ostile. Ma noi siamo con «ton ton», lo zio, come i ragazzi chiamano Touré, l’appellativo che da queste parti è assegnato a persone più anziane, di cui si ha grande rispetto. Centro Liberté (libertà) I giovani del centro hanno storie terribili. Qualcuno accetta di rac- contarle. «Avevo dei soldi della mia famiglia, ma ho perso tutto nel tentativo di andare in Europa, senza riuscire ad arrivarci. Ora sono a Niamey da due anni». Chi parla è Mohammed, 37 anni, di Faranah, in Guinea Conakry. «Qui mi arrangio, faccio il parrucchiere per guadagnare qualcosa. Sono il responsabile di questo Centro. Se in giro vedo un migrante sperduto, lo avvicino e gli chiedo se vuole ve- nire a Liberté. In questo momento siamo circa 28. Al mattino usciamo tutti alla ricerca di qualche lavo- retto. C’è qualcuno che sa fare un mestiere. Poi ci ritroviamo qui al pomeriggio, condividiamo qualche soldo per comprarci del riso da cu- cinare insieme e mettiamo da parte una quota per pagare l’af- fitto di questo posto». Mohammed, occhiali da sole e faccia furba, parla un francese di base, ma sciolto, gesticola e ha un modo di fare spigliato, di chi è a proprio agio. Ha tentato due volte di andare in Libia. La prima volta ha raggiunto il Sudan, ma in Ciad si è procurato una pallottola che gli ha trapassato il torace, senza ledere organi vitali. Ci mostra le due cicatrici (entrata e uscita) e dice che sono stati quelli di Boko Haram, la setta terrorista molto attiva nella regione del lago Ciad (Sud Est del Niger). Ma non spiega le circostanze. È stato operato a Ndjamena, capitale del Ciad, dove un connazionale lo ha aiutato eco- nomicamente. «Mi sono scorag- giato e ho deciso di tornare verso casa, ma preferisco guadagnare qualche soldo qui e non rientrare a mani vuote». Circondati da giovani in piedi che ci scrutano, siamo seduti su una MC A • Migranti | Traffico | Rotte Sahara | Militari italiani | Solidarietà • A sinistra : cartina che indica i flussi dei migranti verso Nord. Le stesse rotte ora vengono anche usate in senso contrario, verso Sud, dai migranti di ritorno. Di fianco : il vicolo che conduce al Centro Liberté, a Niamey. Sotto : Cheick Ahmed Touré (secondo da sinistra) con alcuni ospiti del Centro Liberté. Il primo a destra è Mohammed, responsabile del centro. #
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=