Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2018

missioni IMC nel conti- nente americano e la Missione di Catrimani è una delle più significati- ve. La storia di Catrimani ci insegna che le popola- zioni indigene, come qualsiasi altra, devono essere rispettate e com- prese nelle loro differen- ze. Dopo molte lotte e perdite irreparabili, que- sto principio è stato infi- ne adottato dalla Costi- tuzione brasiliana del 1988, articolo 231, che ri- conosce il diritto dei po- poli indigeni alla loro or- ganizzazione sociale, alle lingue, alle usanze, alle credenze e alle tradizio- ni. Sfortunatamente, la Magna Carta in Brasile è stata violata quotidiana- mente e la sopravvivenza delle popolazioni indige- ne continua a essere mi- nacciata dagli interessi dell’agroindustria, dai ta- gliaboschi e dai settori minerari. Nel corso degli anni, la convivenza degli Yano- mami con i missionari della Consolata, iniziata nel 1965, ha contribuito all’emergere di un mo- dello di missione basato sul rispetto e sul dialogo, dando vita a azioni con- crete in difesa della vita, della cultura, del territo- rio e della foresta, la ca- sa comune. Questa stes- sa visione è condivisa dal Consiglio missionario in- digeno (Cimi) creato nel 1972 (e il cui presidente, dom Roque Paloschi, ha scritto l’introduzione al saggio di Dalmonego e Moiola). Il principio fon- damentale di questo nuovo modello di missio- ne è annunciare la gioia del Vangelo nel silenzio e nel dialogo, creando le- gami di amicizia e al- leanze nella prospettiva del «buon vivere». Le te- stimonianze provenienti dal Catrimani ci parlano di una missione guidata dallo Spirito di Dio vivo e attivo nei missionari, nei popoli e nelle culture. Per tutto questo vale la pena dare un’occhiata a questo eccellente lavoro. padre Jaime C. Patias, consigliere generale Imc per le Americhe 01/12/2017 Speriamo di averne pre- sto la traduzione anche in italiano. RICORDANDO (MIA) MAMMA CAROLINA Volevo riassumere alcu- ne cose che ho imparato da mia mamma usando l’immagine della Conso- lata, patrona della città di Torino e dei Missionari della Consolata, la co- munità alla quale appar- tengo. Mi voglio soffermare nei gesti delle mani e negli sguardi di questa imma- gine. Il primo gesto, che sta al centro del quadro, è un gesto ieratico e apparen- temente freddo. Le mani del bambino e della mamma non si toccano, si sfiorano soltanto. Il bambino benedice noi che guardiamo e Maria sembra solo sottolineare l’importanza di quella benedizione. Invece l’al- tro gesto, più periferico nell’immagine, ritrae la mano del bambino, dol- cemente avvinghiata al dito pollice dell’altra ma- no della mamma che lo sostiene con fermezza in braccio. Gli sguardi dei due non si incrociano e chiamano in MC R Probabilmente essere mamma di un missiona- rio non è una cosa faci- le… ai genitori dei primi missionari che partivano per l’Africa Giuseppe Al- lamano diceva che a- vrebbero rivisto i loro fi- gli in paradiso e anche se oggi possiamo macinare centinaia di chilometri in poche ore, le distanza e i tempi prolungati, soprat- tutto quando gli anni a- vanzano, continuano ad essere una sfida non fa- cile da sostenere. In mamma Carolina, ve- dendo l’immagine di Ma- ria Consolata, riconosco che non è mai mancato quell’equilibrio fragile fatto di discreta presen- za, sostegno deciso, do- no incondizionato… an- che se la quotidianità di un cammino missionario è più composta di dubbi che di certezze e forse anche di qualche disob- bedienza. Gianantonio 31/10/2017 Così padre Gianantonio Sozzi, missionario in Co- lombia, ha voluto ricorda- re sua mamma Carolina Riva tornata alla «casa del Padre» il 29 ottobre a Civate (Lc). causa le persone che stanno osservando: il bambino guarda noi e la mamma Maria solamen- te sfiora con il suo sguardo questo bambino tutto proteso verso fuori con le sue mani e con i suoi occhi. Vediamo quindi due di- mensioni che fanno par- te della maternità di Ma- ria: da una parte il soste- gno discreto, rappresen- tato dalle mani che si u- niscono e dal braccio che sorregge il peso del bambino, e dall’altra l’impegno, probabilmen- te non facile per Maria, di mettere al centro la no- vità di un progetto che ha in lei le sue radici profon- de ma che è donato al mondo intero, in quella mano benedicente e in quello sguardo che ab- braccia l’umanità intera. Le ultime due frasi che ho sentito dalla viva voce di mamma Carolina ri- salgono a pochi giorni fa. Lunedì scorso quando di primo mattino mi accin- gevo a raggiungere l’ae- roporto di Malpensa, con un filino di voce mi salutò dicendo «fai buon viaggio e prega di più», e poi al telefono giovedì sera quando in Italia era notte fonda e mi disse «non ci vedremo più, vieni a casa per il funerale». In questa settimana non ho pregato di più, anche quando la malattia ina- spettatamente sembrava aver accelerato un pro- cesso già segnato, per- ché sapevo bene che la vita di noi tutti, e quindi anche la sua, è nelle otti- me mani di Dio che scri- ve la storia per il bene di noi che siamo figli. E poi alla fine non sono nep- pure venuto al funerale perché le sarei comun- que stato vicino, anche se non presente, e così è stato in queste ore nelle quali, malgrado la di- stanza, sono diventato ri- cettacolo di parole di conforto che mi hanno raggiunto da tantissime parti del mondo. GENNAIO-FEBBRAIO2018 MC 7

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