Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2018
MC R Cina «donatore canaglia»? Un’ulteriore critica frequente- mente mossa alla Cina è quella che la vede come un rogue donor , un donatore canaglia, che usa l’aiuto pubblico per finanziare progetti scadenti e privi di reale impatto, il cui ulteriore effetto è quello di minare i benefici, per i paesi riceventi, dell’aiuto fornito da altri donatori come gli Usa. Il più recente (ottobre 2017) rap- porto di Aiddata @ smentisce que- sta lettura: dall’analisi dei dati raccolti dai ricercatori emerge che per ogni progetto di sviluppo fi- nanziato dalla Cina, il paese bene- ficiario sperimenta un aumento del Pil pari allo 0,7 per cento nei due anni successivi al finanzia- mento, in linea con i valori relativi all’aiuto dei paesi Ocse-Dac. Tutto bene, quindi? No, ovviamente. Questi pur ambi- ziosi tentativi di tracciare i flussi cinesi da parte di prestigiose isti- tuzioni accademiche sono stati av- viati solo molto di recente e stanno ancora perfezionandosi, per cui non c’è certezza che le conclusioni raggiunte siano del tutto corrette. L’analisi si ferma al 2014, e ancora poco o nulla è in grado di dire sugli ultimi tre anni. Inoltre, il fatto che la Cina non renda pubblici i dati rende molto più complicato coordinare gli in- terventi di aiuto allo sviluppo. Re- sta poi vero il fatto che, a livello globale - non solo rispetto all’A- frica - i flussi ufficiali americani fra il 2000 e il 2014 sono stati al 90 per cento Aps mentre l’aiuto pub- blico cinese si è limitato a un quarto del complessivo impegno economico di Pechino nella coo- perazione allo sviluppo planetaria, con il 60% delle risorse dedicate invece a scopi più prettamente commerciali e il rimanente 16% costituito da flussi dei quali non è chiaro se siano aiuto o meno. In- fine, le testimonianze su compor- tamenti poco corretti da parte dei cinesi non sono rare: il rapporto McKinsey citava ad esempio il caso kenyano (studiato da Cari ), dove il confronto fra imprese ci- nesi e statunitensi mostrava come non tutti i dipendenti africani delle prime avessero un con- tratto, mentre i dipendenti delle aziende Usa fossero tutti assunti regolarmente. O il caso dei lavora- tori zambiani che lavorano nelle miniere di rame in condizioni inu- mane: scarsa ventilazione che può provocare patologie a carico dell’apparato respiratorio, orari di lavoro eccessivamente lunghi, at- trezzatura antinfortunistica non rinnovata, minacce ai pompieri che si rifiutano di intervenire in condizioni di sicurezza non ade- guate @ . È dello scorso novembre un articolo su Allafrica @ che rac- conta delle gravi difficoltà di di- verse giovani donne costrette a crescere da sole i figli avuti dalle relazioni con gli operai cinesi della Sinohydro Construction Company che sta costruendo la diga di Ka- ruma, in Uganda. I lavoratori hanno abbandonato le compagne dopo aver promesso loro di spo- sarle e portarle in Cina. Ma il punto non è tracciare una linea GENNAIO-FEBBRAIO2018 MC 67 sulla lavagna e segnare da una parte i buoni e dall’altra i cattivi. Certo, non è ancora da escludere che, un giorno, l’Africa si troverà invasa dai cinesi; ma quel giorno non è oggi. Il punto, nelle parole di Debora Brautigam, è che la dif- fusione dei miti e delle informa- zioni scorrette rende più difficile concentrarsi sui reali problemi che la presenza cinese in Africa comporta, come quelli descritti sopra. Ad essi vanno poi aggiunti la poca trasparenza sulle risorse, la mancata certificazione di soste- nibilità di prodotti come il le- gname, il disinteresse per la pro- tezione dell’ambiente. «Andare oltre la mitologia renderà forse meno elettrizzanti i contenuti dei media, ma aiuterà a creare una base più informata per il coinvol- gimento occidentale nei rapporti con la Cina, in Africa come al- trove». Chiara Govetti @ Su rivistamissioniconsolata.it trovate i link ai siti, testi e docu- menti a cui l’articolo rimanda. A sinistra : il presidente cinese Hu Jintao e quello del Mali, Amadou Toumani Touré, insieme pongono la prima pietra di un ponte a Bamako nel 2009. Qui sotto : tratto della nuova strada, in una foto del 2009 all’inizio della sua costruzione da parte di una compagnia cinese, che da Isiolo in Kenya deve arri- vare fino a Moyale in Etiopia. La strada è ora nella fase finale di costruzione dopo un’interruzzione per motivi di sicurezza e banditismo. # @ Gigi Anataloni, 2009
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