Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2018
Ecco, scandito per singoli giorni, il reportage del nostro viaggio sull’Aquarius, a documentare quanto accade oggi nel «Mare Nostrum», da sempre conosciuto per la bellezza delle sue acque ma, negli ultimi anni, sempre più associato alla morte di migliaia di persone che annegano nel tentare la fuga verso una vita migliore. S iamo partiti da Catania l’8 settembre scorso in 40 , siamo tornati a Trapani il 16 in 411 . Questo è stato il carico umano della nave Aquarius dell’Ong (organizzazione non go- vernativa) Sos Mediterranée . Tra i 40 della partenza, 14 erano ufficiali e mari- nai, 12 membri della squadra di Sos Mediterranée, 10 dell’èquipe medica dell’Ong Medici senza fron- tiere (Msf) e quattro giornalisti, tra cui il sotto- scritto. Gli altri 371 erano persone migranti provenienti da 16 nazioni diverse, recuperate da gommoni in difficoltà in mare aperto e tolte, quindi, a morte certa. Tutte salvate nella quinta giornata di navi- gazione, il 14 settembre. È questo - salvare per- sone - che le navi delle Ong fanno dal 2015, a fianco delle imbarcazioni della Guardia costiera italiana e delle Marine militari di vari stati euro- pei. L’arruolamento La chiamata arriva 72 ore prima dell’inizio della missione: «Sei stato selezionato come uno dei quattro giornalisti a bordo della ventisettesima rotazione della nave Aquarius», mi dice un mem- bro dello staff a terra dell’Ong Sos Mediterranée (ci sono diversi gruppi di volontari che prestano servizio sulla nave e si alternano a rotazione , ndr .). Sapevo già che, in caso di chiamata, i tempi sareb- bero stati stretti: passaporto alla mano e organiz- zazione familiare effettuata, parto. Come giornali- sta impegnato da anni a narrare le migrazioni for- zate e i drammi in mare e lungo le altre frontiere, ritenevo l’esperienza diretta su una nave umanita- ria un passo fondamentale del mio lavoro. Una volta tornato sulla terraferma, la mia frase più frequente sarà: «Dovrebbero passare tutti un periodo su una nave come l’Aquarius, per capire come stanno le cose e quindi per raccontarle in modo corretto». «L’opinione pubblica deve sapere» Eccomi quindi nella cabina 14 dell’Aquarius as- sieme a un esperto giornalista della radio pub- blica francese, Raphael Krafft. Gli altri due colle- ghi, anch’essi navigati reporter, sono il fotografo Tony Gentile e il videomaker Antonio Denti, en- trambi dell’agenzia Reuters . «Consideratevi parte dell’equipaggio fin da subito: di fronte a un’emer- genza, anche voi siete chiamati ad aiutare a sal- vare vite», ci viene detto da Madeleine Habib, au- straliana coordinatrice delle attività Sar ( Search and rescue , ricerca e soccorso) dell’Aquarius. Sono lei e Marcella Kraay, responsabile dell’èquipe me- dica di Msf - che opera sulla nave grazie a un con- tratto con Sos Mediterranée - i punti di riferi- mento del personale umanitario della missione. «Documentare quello che avviene è importante. Per questo chiediamo ai giornalisti di venire a bordo con noi: l’opinione pubblica deve sapere da «In mare eravamo pronti alla morte» DI D ANIELE B IELLA L’ESPERIENZA SU UNA NAVE DI SOCCORSO NEL MEDITERRANEO
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