Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2018
GENNAIO-FEBBRAIO2018 MC 29 «perdere la faccia» a questo paese (e per la cultura cinese non c’è cosa peggiore). Il partito comuni- sta cinese (che ormai di comunista ha ben poco, ma questo è un altro discorso) e quasi tutta la popola- zione sinica del continente (martel- lata per decenni dalla propaganda ufficiale) sono convinti che una ipotetica dichiarazione di indipen- denza taiwanese sia del tutto inac- cettabile e che essa debba essere impedita a qualunque costo, anche arrivando a scatenare una guerra. Qualche anno fa, parlando con gio- vani universitari cinesi, a cui avevo chiesto cosa avrebbero fatto nel caso in cui Taiwan avesse dichia- rato l’indipendenza da Pechino, mi colpì molto sentirmi dire all’uni- sono «ci arruoliamo come volon- tari per andare a combattere per l’unita della patria». Non ci fu modo di farli recedere da questa posizione, nemmeno facendo no- tare loro che, stante l’ancora enorme vantaggio militare che gli Stati Uniti possiedono sulla Cina, ciò avrebbe comportato pesantis- sime distruzioni per il loro paese, e un probabile blocco del suo svi- luppo economico. Ma niente e nessuno poteva scalfire il senti- mento patriottico di costoro. E questi giovani rappresentavano l’elite colta e preparata del paese, non il popolino, così facile a farsi influenzare dalla propaganda go- vernativa. Pechino: integrità territoriale e sviluppo economico La Cina, governata quasi sempre durante la sua plurimillenaria sto- ria da regimi totalitari, è riuscita a modernizzarsi nel giro di pochi de- cenni e a trarre dalla miseria più nera centinaia di milioni di citta- dini. Nel corso degli ultimi secoli, molto raramente ha intrapreso azioni aggressive nei confronti de- gli stati vicini e non ha mai avuto particolari tendenze espansioniste, mirando invece a mantenere la propria integrità territoriale, spesso minacciata dalle potenze occidentali e dal Giappone, e con- centrandosi su un accelerato svi- luppo economico. Il ruolo degli Stati Uniti Dopo la fine della seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti, temendo l’espansione del comunismo, ap- poggiarono senza esitazioni il re- gime del Kmt, a prescindere dalla natura dittatoriale, violenta e re- pressiva che lo stesso ha mante- nuto fino al 1987. Questo compor- tamento non era propriamente consono al propagandato impegno americano per la democrazia e i di- ritti umani (valori che oltretutto si incolpava la Repubblica popolare di non possedere). Gli Stati Uniti hanno esercitato una fortissima influenza politica, eco- nomica e culturale su Taiwan. Molti taiwanesi hanno studiato o lavorato negli Usa e non sono po- che le persone appartenenti all’e- lite governativa, militare ed econo- mica in possesso della doppia citta- dinanza. È forse per questo che ta- luni di questi sono visceralmente anti-Pechino, e sono favorevoli ad opporsi con ogni mezzo militare alle pressioni cinesi, disposti anche ad una guerra totale pur di mante- nere l’indipendenza dell’isola, che sarebbe però presumibilmente ri- dotta ad un cumulo di macerie. Viene da sospettare che persone di questo tipo abbiano posizioni così estreme in quanto, in tale sfortu- nato caso, loro potrebbero comun- que sempre tornare a vivere in America. Aggiungo un piccolo aneddoto: nel corso di un convegno, un tecnico che lavora nel settore armiero so- stenne il concetto che i taiwanesi avrebbero un «diritto umano» a MC A A sinistra : il «101», quinto grattacielo al mondo, visto da un parco pubblico. Qui sotto: il portale di accesso al Palace Museum di Taipei. # © Mirco Elena
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