Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2018
24 MC GENNAIO-FEBBRAIO2018 settembre scorso, a fronte di 1.979 gambiani registrati in Libia, 1.119 fra loro sono stati ricondotti a casa. Accordi con l’Unione euro- pea (parte del cosiddetto Fondo Fiduciario) prevedono 13 milioni di euro di aiuti allo sviluppo a patto che il Gambia firmi accordi per il rimpatrio, sempre ufficial- mente smentiti dal nuovo governo locale. Proprio come questo tassi- sta, però, sono in molti ad avere volontariamente deciso di tornare a casa nella speranza di un nuovo inizio. «Dopo aver visto quello che stava succedendo nel mio paese ho deciso di rientrare, ma non è facile» taglia corto il giovane. Guardatevi da lui Prima di lasciarci, Buabacar Ceesay vuole presentarci un’ul- tima persona. «Vi farà capire una volta per tutte quanto brutale è stata la repressione di Jammeh». Incontriamo Landing Sanneh sulle imponenti gradinate del centro amministrativo di Banjul costruite per le parate militari del vecchio regime. Appena accesa la teleca- mera questo discreto signore ol- tre la cinquantina comincia a rac- contare la sua assurda vicenda. Cugino di secondo grado di Jam- meh, Sanneh ha ricoperto incari- chi di rilievo nella sicurezza, di- ventando capo della guardia pre- sidenziale. Ma essere troppo vi- cini a un dittatore schizofrenico può diventare pericoloso. «Un giorno i militari hanno circondato la mia casa. Sono uscito con le mani in alto e mi hanno sparato», dice mostrando il segno della pal- lottola che gli ha attraversato il braccio destro. Sospettato di un tentato colpo di stato e mai pro- cessato, Landing Sanneh passa 15 anni e mezzo nel «Mile 2», blocco speciale della Nia tristemente fa- moso all’interno del carcere di Banjul. «Mi avevano condannato a 16 anni. Poi “lui” mi ha graziato, risparmiandomi gli ultimi sei mesi di reclusione». Non nomina quasi mai Jammeh e quando lo fa si guarda istintivamente le spalle. È uno dei testimoni chiave della Corte penale internazionale (Cpi) che sta indagando sui crimini dell’ex presidente del Gambia e, per paura di ritorsioni, non aveva mai raccontato la propria storia a dei giornalisti prima d’ora. «Le persone che ancora lo sostengono stanno difendendo un mostro, una persona davvero malvagia», s’indigna alzando la voce. Rac- conta delle torture: «Mi hanno fatto il waterboarding per diversi giorni consecutivi», mostrandone i segni indelebili su corpo e anima. All’improvviso scoppia a piangere e chiede una pausa. «Anche se credo che Dio mi abbia lasciato in vita per raccontare quello che mi è successo, mi fa male parlarne. Mi tornano alla mente gli incubi del carcere». Poi fissa il vuoto e comincia a recitare una lunga lista di nomi. Sono prigionieri politici, suoi compagni di detenzione scomparsi durante gli ultimi anni, i più violenti della dittatura. Sono i «desaparecidos» del Gambia, se- condo lui «decine di persone uc- cise e fatte sparire, dati in pasto ai coccodrilli per occultare le prove». Le sue parole rompono l’assordante silenzio circostante: «Chi ancora mette in dubbio la natura sanguinaria dello stato di polizia che vigeva in Gambia, parli con le famiglie che non hanno an- cora potuto seppellire il corpo dei propri cari». Conclude dicendo: «Il nuovo governo ora deve garantire benessere, giustizia e libertà alla sua gente. Per questo è stato eletto. A noi gambiani non resta che gioire della fine della dittatura e pregare Dio che atrocità come quelle che abbiamo vissuto non si ripetano mai più, né qui né al- trove». Quello storico giorno dell’anno scorso, che forse appare già dissolto dalle difficoltà odierne, Landing Sanneh ha alzato gli occhi al cielo del Gambia e, os- servando insieme a una folla di cittadini festanti l’aereo che por- tava lontano Yahya Jammeh, si è sentito finalmente libero. Andrea De Georgio GAMBIA A NDREA D E G EORGIO È giornalista freelance (Premio Cutuli 2011 e Premio Leviti 2017), dal 2012 vive in Mali, dove lavora per media nazionali e internazionali, tra cui Cnn , Al Jazeera , RaiNews24 , Limes , I n - ternazionale . È associate resarch fellow di Ispi. Per l’Oim ha rea- lizzato con Luca Pistone il do- cumentario Odysseus 2.0 . L UCA S ALVATORE P ISTONE È giornalista-fotoreporter-vi- deomaker, lavora da anni come inviato in zone di guerra e di crisi per Notimex , l’agenzia stampa ufficiale del Messico. Qui a fianco : una delle tante manifestazioni pro Jammeh, l’ex presidente dittatore che ha perso le elezioni nel dicembre 2016. #
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