Missioni Consolata - Dicembre 2017

T erra brulla, cielo terso, tetti di lamiera. Questo è ciò che i miei occhi assonnati hanno scorto d’improvviso dal finestrino dell’aereo. «Benvenuti a Dar Es Salaam», una voce ha risvegliato completamente i miei sensi annunciando l’atterraggio dall’altoparlante. Sono sobbalzata. «È fatta, Valentina, lo stai fa- cendo davvero. Dopo anni di sogni e aspetta- tive. Sei qui. Ora non puoi tornare indietro». Questi sono stati i miei pensieri mentre mettevo piede in terra tanzaniana, quando ancora non potevo sapere che quest’esperienza avrebbe ri- voluzionato la mia vita. La Tanzania ha iniziato da subito a insegnarmi molte cose: a razionaliz- zare le sofferenze affrontandole, a piangere solo di gioia, a essere grata di ogni cosa, a sorridere con il cuore e non soltanto con la bocca. Il primo sorriso di tutto il viaggio è stato anche uno dei più veri: dal finestrino dell’auto ho visto una donna bellissima. Indossava un vestito verde sgargiante e sulla testa portava un turbante rosso fuoco con cui sorreggeva un’enorme cata- sta di legna. Nelle mani aveva due secchi, forse pieni d’acqua e, nonostante ciò, camminava ve- loce ancheggiando e sorridendo. Mi sono chie- sta come facesse e mi sono sentita stupida per tutte le volte in cui, andando a scuola, in monta- gna o in università, mi lamento del peso di uno zaino. Quel momento è stato cruciale, lo ri- cordo bene ancora oggi, perché è pro- prio da lì che ho iniziato a guardare tutto da una diversa prospettiva. Con uno sguardo curioso e incon- dizionato verso una cultura nuova e apparentemente distante che in breve tempo mi sarebbe divenuta vicina e famigliare. Mi ha spiazzato sin da subito la ve- locità con cui capanne e case fatiscenti, polvere e rifiuti lasciati bruciare per strada si alternassero a sorrisi, abiti coloratissimi, e bambini che corre- vano e danzavano. Osservando quella scena ho iniziato a comprendere lo spirito africano, quello per cui non importa lo stato di povertà o di mi- seria in cui vivi, perché la fede, la speranza, la gioia e il sorriso saranno sempre predominanti. Basti ricordare che nella lingua swahili, alla do- manda «habari gani?», «come stai?», l’unica e sola risposta possibile, indipendentemente da ogni cosa è «nzuri», «bene». Sono state proprio belle la generosità e gratuità con cui il nostro biz- zarro gruppo di bianchi occidentali è stato ac- colto nella grande famiglia che è il villaggio di Sa- dani. Se dovessi descrivere con una sola parola la nostra permanenza lì utilizzerei la parola danza . La danza, insieme al canto, ha pervaso ogni mo- mento delle nostre giornate e si tramutava, di volta in volta, in un motivo per gioire, ringraziare e pregare. In qualsiasi momento poteva partire un urlo di gioia, vigelelegele , e tutti iniziavano a can- tare e ballare in cerchio alternando i battiti delle mani con quelli dei piedi. Ancora oggi i bonghi e le voci nere e soavi si uniscono e ballano una danza immaginaria con il mio cuore, ogni volta che chiudo gli occhi e con la mente ritorno lì. Purtroppo quando li riapro mi ritrovo qui, in Italia, dove le danze e i sorrisi vengono rimpiazzati dai pensieri e dalla frenesia. Ma l’esperienza in Tanzania non è finita con il ritorno a casa: non ba- sta cambiare scenario per dimenti- care ciò che mi ha insegnato. Valentina Vergottini Sadani danza AMICO.RIVISTAMISSIONICONSOLATA.IT Agosto 2017. Dieci giovani amici dei missionari di Bevera (Lecco), par- tono per la loro prima missione, accompagnati da padre Nicholas Odhiambo. Destina- zione Sadani, Tanzania. © Valentina Vergottini

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=